Drammatico, Focus, Streaming, Thriller

DECISION TO LEAVE

Titolo OriginaleHe-eojil gyeolsim
NazioneCorea del Sud
Anno Produzione2022
Durata138'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

L’ispettore Hae Joon avvia un’indagine sulla morte apparentemente innaturale di un uomo su una montagna e incontra la vedova Seo Rae. Hae Joon lsospetta che sia lei la responsabile dell’omicidio, ma allo stesso tempo subisce il suo fascino.

RECENSIONI

"Dig deep where you're afraid to go
Pick the stitches and unbind me
That kick hat pain I need to know
Every cut you feel defines me"
White Lies, Take It Out On Me

Un'ossessione, quella del detective verso la sospettata, quella fra il detective e la sospettata; l'amore – fou, non potrebbe essere diversamente – come indagine insonne (sonnambolica) sull'altro, colpevole, sempre, di una sottrazione. Forse, di qualcosa di peggio: oltre la passione, il delitto. L'annientamento del sé. «Ridotto a niente, distrutto». Certo che Seo Rae (Tang Wei) è un'assassina. E non c'entra la lussuria: Decision to Leave è un film perdutamente erotico, ma senza sesso, senza un briciolo di libido. Seo Rae è un'assassina perché mette alla prova la propria esistenza vincendo la messinscena, praticando la finzione sublime, quella del soggetto amato che si finge oggetto. Annientando l'amato e, solo a quel punto, amandolo. Fingendo sempre, oppure mai. Burattinaia, ammaliatrice semplice, donna ordinaria, fattucchiera che parla un'altra lingua – dopotutto gli incantesimi sono sempre, tutti, fatti di parole impossibili, incomprensibili – e chiede a un gatto di portarle il cuore dell'indagatore. La magia è reale a prima vista, fin dal primo sguardo – quello di lui su di lei, il nostro, prima che lei entri in scena. Lei comanda: le sue parole, mai meno della sua immagine. (E perfino l'immagine delle sue parole ha potere: la non-conversazione notturna sull'app di messaggistica). Tang Wei è l'unica possibile donna che visse due volte, portatrice di una vertigine del ritorno, del classico nel nuovo (digitale, tra registrazioni vocali e contapassi). Che è anche vertigine della pura finzione: lei è come si racconta, come lui la racconta a se stesso, come lei si finge e si ricostruisce, si smantella e si consegna al mito con precisa disperazione (quella di lui).

In Mademoiselle (altro, mastodontico capolavoro) Park Chan-wook colpiva quasi kubrickianamente la struttura perversa e sadica dei dominatori, regalando il colpo di scena più impensabile (l'happy end); in Decision to Leave il twist è scritto in faccia a entrambi i suoi amanti perduti, fin dall'inizio, inciso nella montagna di cui è fatto l'uno e sfuggente sulle onde di cui è composta l'altra, fusione possibile solo se pittorica, artistica, come la carta da parati della casa di Seo Rae. È un destino da cui non si può davvero scappare, e nell'abbandono sta la catena definitiva, il lucchetto che scatta, il caso per sempre irrisolto, quello che uccidendo (morendo) si replica all'infinito. Perché Hae-jun (Park Hae-il, incantevolmente trasfigurato) ha bisogno del sole per sopravvivere, ma è la luce di una luna stregata a farlo rinascere, quella intrappolata nel casco di Seo Rae: che si sostituisce al suo viso, e che ha lo stesso bagliore (di rapinosa minaccia) dell'avvelenato latte hitchockiano.

La sceneggiatura di Park Chan-wook è partita da questo presupposto: cosa accadrebbe al detective Martin Beck, della serie poliziesca svedese, se s’innamorasse di una sospettata? La ragione romantica all’interno di una trama gialla è il terreno ideale per ricreare l’atmosfera sognante di La Donna che Visse Due Volte, perseguita sia dando corpo all’immaginazione del detective sia rinvenendo nell’ambiente un’allegoria della confusione dei sensi (la seconda parte ambientata a Ipoh). Coordinate-cardine a parte, il film è puro noir (con pizzichi di commedia fuori luogo) con donna fatale che compromette e sovrasta l’investigatore e con trama complessa/complicata: da un lato, quindi, Park percorre i dovuti luoghi comuni, dall’altro è alla ricerca di un intreccio sempre più lambiccato (rivelazioni finali comprese) che va anche sopra le righe, nel probabile tentativo di restituire la soggettiva di un protagonista in cerca di alibi con se stesso e per l’amata (quando Song Seo-rae dichiara di aver ripulito la scena del crimine per evitargli turbamenti). A conti fatti, e solo in un’ottica di genere, la sua drammaturgia non è asciutta, d’impatto o d’atmosfera ma diluita, pretenziosa e spossante: nel momento in cui, però, si palesa il reale obiettivo del film, che non è l’indagine in sé ma la Vertigo d’amore (come JSA - Joint Security Area non era un poliziesco investigativo ma un film politico), bagnata in ambiguità che solo il finale dissipa (in parte), il percorso di un protagonista invaghito, perso e incoerente di fronte alla (potenziale) Lady Vendetta diventa anomalo, truffautiano. La verità che va cercando, allora, non è poliziesca ma quella del femminino intrinsecamente misterioso, in un percorso con segnali eloquenti (la città immersa nella nebbia, l’insonnia, le difficoltà di comunicazione con una straniera) che rendono questo amore malato ancor più avulso dalla realtà e disperato (sadico: come piace a Park).