Poliziesco, Recensione

CRUISING

NazioneU.S.A.
Anno Produzione1980
Durata106'

TRAMA

Un poliziotto sulle tracce di un serial killer si trova ad indagare nell’ambiente dei locali gay.

RECENSIONI

Forse il film di Friedkin più sorprendente della sua retrospettiva, un poliziesco notturno e feroce, una discesa all’inferno che affronta uno dei temi più cari al regista statunitense: quello della confusione e perdita dell’identità. E’ illuminante la scena finale, in cui la fidanzata di Al Pacino scherzosamente ne assume l’identità vestendone gli abiti ed è impossibile non pensare al finale di “Vivere e morire a Los Angeles”. E’ come se i personaggi di Friedkin percorressero una parabola di cambiamento, di sgretolamento che passa per una mutazione che è prima di tutto fisica. “Cruising” è la storia di un uomo che non regge al trauma di uno spostamento (“deplacement”) forzato, un uomo prelevato dal suo ambiente naturale e immerso nel buio. Al ritorno in superficie nulla sarà più come prima, non è più possibile resistere alla visione della luce. Il venire a contatto con una massa di corpi seminudi, bardati di cuoio e borchie, agisce direttamente sulla psiche e sui lineamenti di Al Pacino, come in una sorta di osmosi traumatica. La ricostruzione della scena gay è livida, cruda, l’occhio di Friedkin non teme nulla e non indugia di fronte a nulla, al contrario lascia trasparire tutto il dolore e il fascino del peccato, del desiderio, della perversione. Friedkin riesce a costruire minuziosamente la miscela esplosiva che agisce sulla psiche del protagonista attraverso il contrasto tra la durezza degli amplessi notturni e casuali filmati senza timore e il lento instaurarsi di un rapporto intimo del protagonista con il suo vicino di casa. “Cruising” non è semplicemente un capolavoro di cinema poliziesco, è un film che analizza e fotografa la nascita e lo sviluppo di un’ossessione. Nell’inscenare una lotta contro il male, Friedkin mostra la deriva di un uomo inesorabilmente contaminato da quello che sta combattendo.

L'ambiguità è oramai proverbialmente da attribuire ai film di W. Friedkin che negli anni ha vieppiù setacciato i propri lavori alla ricerca, parrebbe, della più torbida commistione di bene e Male. I due corni d'un problema, d'una situazione in cui l'umano si trova, per il regista americano, sono sempre, con evidenza, divergenti ma è proprio nell'agire, nella persecuzione dell'obiettivo morale (e spesso d'ambito lavorativo) che essi tendono a confondersi, congiungersi e prolificare inestricabili. Nascono quindi le oziose discussioni su Friedkin reazionario o meno solo per il fatto d'essere uno dei pochissimi realizzatore d'oltreoceano a ricordare che l'indefinito intellettuale non è affatto una colpa soprattutto quando intesse di sé l'intera costruzione filmica, tematizzazione, quando e se riuscita, del dubbio -del personaggio, dell'autore, dello spettatore- e dell'impossibilità odierna dell'essere eroico. Cruising, benché mutilato da imposizioni produttive, è un incredibile sprofondamento  nell'oscuro, notturno, urbano e psicologico, e nel disturbante più intimo. Il consueto gioco di reciproche sostituzioni (il dualismo di personalità che percorre tutta la filmografia del regista, To live and Die in L.A., The hunted, L'esorcista, Rampage, Rules of Engagment) si unisce qui con un'altra portante linea di frizione come quella tra legge ed eversione, lasciata intuire pure nel delineare figure di figli in costante relazione con la forte assenza paterna. La grandezza dello stile è innegabile anche alle prese con le perversioni bondage dell'ambiente omosessuale (assenti nella versione televisiva), Pacino, in un ruolo che ricorda le sue prime esperienze con Schatzberg, è al di là di ogni elogio: la sequenza a scene del suo "studio del personaggio" gode di raffinatezze imperdibili (il modo di bere il caffè che cambia improvvisamente).