TRAMA
Ascesa e declino di Tony Montana, profugo cubano che a Miami diventa un ricchissimo boss del narcotraffico.
RECENSIONI
Arduo consegnare un capolavoro da un capolavoro (l’originale del 1932 è di Howard Hawks e dello sceneggiatore Ben Hect, cui il film è dedicato), ma questo di Brian De Palma è un gangster-movie di “ascesa e caduta” del tutto avulso dal suo predecessore, dove il regista di thriller hitchcockiani macabri, nel suo primo film ad alto budget, s’incontra con l’epica megalomane e violenta di Oliver Stone (sceneggiatore e, ai tempi, cocainomane come il suo protagonista). Ne scaturisce un prodotto delirante e iperbolico, kitsch e scurrile (non in TV: dialoghi ad hoc occultano la parola ‘fuck/cazzo’ ripetuta 226 volte) come, ai tempi, non si erano mai visti/sentiti. Dando seguito all’idea di Sidney Lumet, primo regista incaricato, l'azione si sposta dalla Chicago anni trenta alla Miami contemporanea, inseguendo un taglio anche politico: i due protagonisti sono rifugiati cubani (lo Scarface originale era italoamericano), criminali cacciati da Fidel Castro e imbevuti del Sogno Americano da perseguire nel proibizionismo (l’alcol allora, le droghe oggi). Se il gangster è ancora un “antieroe”, viene spogliato delle vesti romantiche del suo predecessore, accentuandone le valenze negative (compreso il tema incestuoso dell’amore verso la sorella, latente in Hawks) e invalidando l'istanza morale del cinema classico, sostituita con l’esibizione della sovranità del Male, seducente in decadenza, disgusto e orrore (l’uomo fatto a pezzi dalla sega elettrica). Il crescendo in caduta trova la sua apoteosi nel finale debordante alla Carrie, un La Furia Umana portato a eccessi figurativi che si specchiano nel delirio di onnipotenza, con corollario sull’ambiguità fra celebrazione e condanna (il finale sulle scale ricorda Alla Conquista dei Dollari). Fra varie citazioni (anche Queimada), nella prima sequenza il Montana di un immenso Al Pacino dichiara propri maestri d'inglese James Cagney e Humphrey Bogart. Sottovalutato dalla critica e accusato di brutalità figurativa (fra le poche voci a favore, quella di Scorsese), nel tempo il film è diventato tutto: di culto prima, un classico poi, iconico nella cultura popolare infine.
Chiuso tra (i) due De Palma “Doc”, Blow Out e Body Double, Scarface segna un momentaneo arresto nel percorso metalinguistico tracciato dal regista americano. Nessun dispositivo da mostrare, dunque, ma un classico di Hawks da ri-fare ed aggiornare: attorno ad uno scheletro sostanzialmente fedele, infatti (ascesa e caduta di un gangster), De Palma costruisce un film che esplicita ciò che il prototipo poteva solo suggerire (la violenza in primis, ma anche la componente morboso-incestuosa del rapporto protagonista-sorella), ri/re-setta le coordinate etiche di riferimento (Tony Montana ha decisamente perso l’alone epico, tragico, romantico e comunque eroico che circondava Tony Camonte e molti suoi epigoni cinematografici “classici”, Padrino compreso, ovviamente) e palesa un sottotesto implicito dell’originale (il parallelo Gangster Dream – American Dream) che configura il percorso rise and fall di Al Pacino come una parabola anticapitalista. Tutto qui. Spingendosi un po’ in là con l’interpretazione depalmianesca di Scarface si potrebbe comunque tirare in ballo la componente cinefila, con riferimenti ad altri classici come Public Enemy e Little Caesar, qualche acrobazia visiva (plongée et cetera), alcune sequenze ben costruite (su tutte quella del primo “lavoretto” importante affidato a Tony Montana, che include il famoso chainsaw massacre), la presenza di allegorie della visione (il circuito chiuso che sorveglia la Xanadu di Tony) e soprattutto una certa voglia, molto meta- in effetti, di giocare coi codici e gli stilemi di un Genere cinematografico classico. Ma per quello arriverà il capolavoro The Untouchables, scritto da un altro “disvelatore di meccanismi” come David Mamet. Scarface sta invece invecchiando malino e, pur conservando una certa forza figlia di vari eccessi, vede il generale (senza dubbio voluto, senza dubbio depalmiano) “sopra le righe” tramutarsi progressivamente in kitsch per lambire, sporadicamente, i confini dello stracult, con ridicolo involontario annesso e connesso.