
TRAMA
Tre amici hanno tre capi impossibili che rovinano loro la vita. Quando la situazione si fa insostenibile decidono di allearsi per liberarsene.
RECENSIONI
L'odio per il capo è un tema sempre attuale, che accomuna e trova solidarietà quasi ovunque. Gli ultimi anni di precarizzazione del mondo del lavoro e crisi economica hanno dato ulteriore centralità ai problemi legati al lavoro, in letteratura come al cinema. Ma da qualche anno pullulano soprattutto libri e film su mobbing, precarietà e licenziamenti: da Il grande capo e Tra le nuvole ai tanti esempi nostrani: Mi piace lavorare (mobbing), Giorni e nuvole e Santa Maradona (disoccupazione), Tutta la vita davanti e Riprendimi (precarietà), C'è chi dice no (raccomandazioni).
Guardando però alla commedia, risultava ancora non del tutto sfruttato il potenziale comico rappresentato dalla bastardaggine tipica di molti capi e dal conseguente vissuto del dipendente.
Horrible bosses, orribilmente tradotto come sempre, nasce proprio per colmare questa lacuna, dando voce alla pancia di buona parte dei lavoratori. Nato come commedia brillante un po' politicamente scorretta, è stato frettolosamente accostato a tante commedie Usa degli ultimi anni con cui ha invece poco a che spartire. Nonostante i tre protagonisti maschili non è neppure lontanamente un film sull'amicizia virile, né si avvale dell'effetto comico dato dal contrasto tra personalità opposte.
Si tratta invece dell'uomo comune la cui vita viene quotidianamente martoriata da sorprusi e bizzarrie di capi folli e senza etica.
Il plot adotta il vecchio meccanismo dell'hitchcockiano Delitto per delitto (ispirazione dichiarata all'interno della pellicola), mai passato di moda e recentemente ripreso anche dal nostrano C'è chi dice no: ognuno dei tre amici ucciderà il capo di uno degli altri due, in modo tale da non poter essere ricollegato all'omicidio. Se l'esasperazione delle tre vittime è ben descritta, l'approdo alla scelta estrema dell'assassinio è praticamente aproblematico.
La sceneggiatura, d'altra parte, non gioca certo di fino. Azioni e caratteri sono portati agli estremi, sbilanciandosi con linguaggio e gag per ottenere l'effetto comico.
L'aspetto più interessante è proprio la particolare struttura del film: tre attori relativamente anonimi nella parte dei vessati protagonisti - non famosissimi, non glamour, perfetti per l'identificazione - e tre star nella parte dei terribili boss, assolutamente sopra le righe, carismatici, dominatori della scena così come dei loro uffici e dell'esistenza delle loro vittime. Il film è costellato, quasi affollato, di presenze famigliari che costituiscono di per sé un valore aggiunto, in ruoli importanti, piccoli, o semplici camei. A questo si aggiunge un divertente gioco di rovesciamento d'immagine.
Kevin Spacey, il migliore dei tre capi bastardi, per bravura e perché meno esasperato (almeno fino all'omicidio), è l'unico a mantenere ciò che ci si aspetta da lui come perfetto villain. La simpatica fidanzatina d'America Jennifer Aniston diventa invece una sboccatissima ninfomane, il tormentato Colin Farrell un cocainomane senza scrupoli e senza cervello. Persino la faccia tradizionalmente pulita di Ioan Gruffudd-Mr Fantastic viene "sporcata" nel suo buffo cameo, mentre Jamie Foxx gioca con gli stereotipi sui neri delinquenti.
Saper dare un senso a ciascuna di queste presenze senza esibire un'inutile parata di stelle è uno dei meriti di questa pellicola.
Sfortunatamente, però, soprattutto a partire dalla metà del film la grana grossa della scrittura compromette irrimediabilmente la riuscita dell'opera e lo stesso effetto comico. Troppo espliciti e meccanici i comportamenti: le corna della moglie come unica base per la sindrome psicotica di Spacey, che si spinge ad eccessi tali da smontare l'impatto del personaggio, la monodimensionalità di Farrell, nel secondo tempo abbandonato dagli sceneggiatori. Troppo fortuito lo scioglimento, a base di pistole e registratori accesi (senza contare la facilità con cui, tutto ad un tratto, si neutralizza la terribile Aniston per la quale fino a poco prima l'unica soluzione sembrava essere l'omicidio).
Inutilmente volgare il linguaggio.
Pur essendo una fantasia condivisa cui non si chiedeva stretta verosimiglianza, alla fine il film si sgonfia sotto il peso delle sue debolezze.
