Drammatico, Recensione, Sentimentale

BLACK WIDOW (2005)

Titolo OriginaleBefore It Had a Name
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2005
Durata101'

TRAMA

Eleonora eredita dal defunto amante una cosa moderna, rivestita di gomma, che si trova nella campagna newyorkese. Il custode, Lesile, la introduce ai segreti della casa…

RECENSIONI

Before it had a name era il titolo di una trasmissione radiofonica  americana in cui si raccontavano delle storie, singolari al punto da sfuggire a una definizione. Il film dunque pone al centro della narrazione una situazione particolare ed enigmatica prima che questa possa essere etichettata, e dunque limitata, da una denominazione. La casa di gomma è l’algido spazio in cui i due protagonisti, che provengono da vissuti molto differenti,  si incontrano e si amano, complice il fantasma del ricordo del precedente proprietario, legato in maniera diversa all’uomo e alla donna. La loro vita sta cambiando ma il fato è dietro l’angolo. Pretenzioso e spocchiosetto, l’erotismo glaciale e intellettualoide di Giada Colagrande, complice un’interpretazione strani(a)ta dei protagonisti, rovina quasi subito in fiera del ridicolo involontario, tra dialoghi pedestri e scene vagamente scult. Può darsi che, durante la proiezione, ciò che guardiamo non abbia un nome, ma all’uscita della sala ce l’ha: ve lo risparmio per decenza.

Che ha fatto Willem per meritare questo?

Fa un po' di tristezza vedere un attore in grado di riempire lo schermo con la sola presenza come Willem Defoe alle prese con un film dalle pretese alte e dai risultati poveri come l'opera seconda di Giada Colagrande (nota gossip: attuale moglie dell'attore americano). Il lungometraggio ambisce a raccontare l'impossibilità di definire un rapporto affettivo e le emozioni di chi lo vive in prima persona. La storia è incentrata sul legame che si crea tra una donna (che ha appena perso il compagno) e un uomo (il custode della casa di lui) in un luogo molto particolare: una villa iper-tecnologica rivestita di gomma nera adagiata nella campagna newyorchese. La sensazione costante, o forse la speranza, è che la regista si prenda gioco con sottile calcolo dei personaggi e dello spettatore in una sorta di farsa bislacca. Come spiegare altrimenti gli stacchetti thriller privi di senso, le pretese comiche di alcune sequenze (il destino dell'urna cineraria, la cena al ristorante), gli eccessi (il cunnilingus con mestruo, la tragedia finale), le caricature (Defoe che finito di mangiare si picchia la pancia o che sculetta al ritmo di musica sotto al caminetto) e la piattezza, narrativa e visiva, in cui il racconto stagna? Il problema è che, con o senza ironia, il film è l'insieme di momenti non-sense che si limitano a stridere. Alla fine, infatti, nonostante un divertimento canzonatorio si faccia largo nello spettatore a causa della grammatica sbagliata del cinema, dell'interpretazione monofaccia e gracchiante della protagonista (la stessa Colagrande) e della presenza docile di Defoe in questo pasticcio, è un profondo imbarazzo ad avere il sopravvento.
Da non perdere, comunque, per gli amanti del trash!