
TRAMA
Una giornata nella vita di Cate, della sua famiglia e della sua amica del cuore Luna nell’assolata e desolata periferia di Cagliari.
RECENSIONI
Noiosa premessa occasionale
È impossibile decifrare le logiche della distribuzione italiana. Ecco una commedia amara ma fresca, originale e movimentata, prodotta da Rai Cinema (ma sostanzialmente autoprodotta) e premiata a Venezia e a Rotterdam, ma che non ha avuto una distribuzione regolare ed è riuscita a farsi strada tra poche sale cittadine solo grazie allo sforzo autonomo del regista, al passaparola e agli ottimi commenti di chi scrive sui media maggiori. Perché? Forse è colpa del titolo ostico, dialettale (vuol dire belle farfalle), che non può essere contraffatto in una delle stupide formule seriali che i titolisti nostrani affibbiano ai film stranieri? Forse perché non rientra nelle uniche due abusate ed esauste categorie cui il mercato nazionale guarda con favore (la Commedia televisiva macchiettistica e la Commedia drammatica dattualità, preferibilmente con Toni Servillo)? Forse perché la lingua è una sperimentazione, un impasto di italiano e sardo lontano sia dalla piattezza anestetica del doppiaggio a cui sembra impossibile rinunciare sia dalla macchietta centro-meridionale con cui sono impastate tutte le innumerevoli Commedie di cui sopra? Forse perché tra i protagonisti non c'è un volto noto della televisione né un attore che ha appena recitato in un film pressoché identico che ha già avuto il conforto di un incasso decente? Eppure Bellas mariposas ha ritmo, intelligenza, humour, bei personaggi: caratteristiche di comprovata smerciabilità. Che succede? La paura attanaglia il settore cinematografico - come quasi tutti gli altri settori della vita economica, culturale e politica di questa Italia stagnante. Il rischio, la flebile innovazione (non parliamo certo di sperimentalismo, qui), l'intelligenza ('Il pubblico capirà?') incutono terrore. E mentre il discorso pubblico compie un lentissimo suicidio rituale officiato da imbonitori volgari e mediatori irresoluti, il cinema e le lettere si accontentano perlopiù di mantenersi con della robetta dilettantesca (come se per fare dell'intrattenimento pop non ci fosse bisogno di ottime idee e una grandissima professionalità) e di celebrare come Vera Arte il midcult più pretenzioso. Ci sono delle belle eccezioni. La Biennale di Venezia che apre in questi giorni è affidata al curatore più giovane della sua lunga e importante storia, Massimiliano Gioni, 39 anni. Minimum fax pubblica un esperimento di narrativa collettiva coi piedi ben piantati in terra, In territorio nemico. L'America traduce (cosa sempre più rara) un bravo romanziere italiano, Francesco Pacifico, 35 anni (il suo ultimo libro è Storia della mia purezza, Mondadori). Eccetera. (L'eccetera è striminzito).
Belle farfalle
Nell’eccetera ci sarebbe pure Salvatore Mereu (che ha firmato un esordio felice e fortunato, Ballo a tre passi, e un’opera seconda bella e solida, anche se alla fine un po’ sfilacciata nella scrittura, Sonetàula, finita persino su Raiuno), se non fosse per l’incomprensibile indifferenza sistematica che ha colpito il suo ultimo film. Bellas mariposas è un film fresco e disincantato, brutale e sognante, che si regge tutto su una struttura sperimentale ma incredibilmente leggera: un monologo audiovisivo che grava sulle spalle della piccola protagonista (e attrice non professionista) che poi diventa un aggraziato dialogo giocoso con la sua amica del cuore (anche lei una incredibile attrice non professionista). Il film di Mereu ci porta dentro un quartiere malandato e rovinato, tra famiglie sottoproletarie, personaggi grotteschi e violenti e l’assordante assenza di futuro. Ma il tono, grazie al peculiare punto di vista (quello di Cate e Luna), è lieve. Una levità che non trascura la realtà ma si nutre anzi di consapevolezza e stoico disincanto. Le due amiche svolazzano tra vicini sballati, fratelli delinquenti e tossicomani, sorelle prostitute, padri sessuomani e fannulloni, giovani gangster, vicini d’ombrellone molestatori, in una Cagliari assolata e desolata che sembra intrappolata in un unico giorno d’estate senza fine: scuole chiuse, fabbriche chiuse, tutto è sempre sul punto di succedere ma non succede davvero niente. La speranza non esiste. Esiste, piuttosto, la poesia. Mereu riesce nel piccolo miracolo di costruire un lungometraggio solido e credibile intorno alle esilissime premesse strutturali dell’intreccio (e dell’approccio rappresentativo) grazie soprattutto alle notevoli interpretazioni, giocose e luminosissime, di Sara Podda e Maya Mulas. Ci sono Ciprì e Maresco (alleggeriti dei loro tratti feroci), una certa tradizione italiana della commedia (oltre alle inevitabili eredità più alte) e una certa svagatezza stranita da esterni che ha un forte sapore di nouvelle vague. Ma soprattutto c’è un tono particolarissimo (già presente, pare, nel racconto omonimo adattato da Mereu, di Sergio Atzeni) che riesce a ovviare anche alle poco pecche della scrittura (e all’unica pecca di casting: una incongrua Micaela Ramazzotti, nel ruolo di una singolare dea ex machina).
