Biografico, DISNEY+

A COMPLETE UNKNOWN

Titolo OriginaleA Complete Unknown
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2024
Durata141'
Tratto daDylan Goes Electric! di Elijah Wald

TRAMA

1961: il ventenne Robert Zimmerman, che in precedenza ha preso lo pseudonimo di Bob Dylan, si trasferisce a New York per conoscere l’adorato Woody Guthrie, cantante e chitarrista folk attualmente molto malato. In ospedale, mentre si esibisce davanti al suo idolo cantando un pezzo scritto per l’occasione, desta l’attenzione dell’esperto musicista Pete Seeger…

RECENSIONI

È una voce ben educata in maschera, appena sporcata da un vezzoso timbro nasale, quella di Timothée Chalamet in A Complete Unknown.
La sua è un’esibizione virtuosistica che dona nuova vita al mito impossessandosi del film, e che del canto dylaniano evoca giusto i colori primari, le asperità superficiali, giacché è esattamente l’incarnazione di uno Spirito, e non la semplice mimesi, l’elemento al centro dell’ultima opera di James Mangold.
Il cineasta americano, infatti, edifica la struttura del film sulla dicotomia che vede il veicolo attoriale/musicale e il messaggio poetico/politico come sottili motori della Storia, e sceglie di appiattire, con intelligente coerenza, lo stile della messa in scena al potere magnetico delle singole performance e, conseguentemente, alle reazioni che esse sono in grado di produrre su piccola e larga scala.
In questo senso, la scena che vede Dylan/Chalamet eseguire Masters of War in un pub, mentre in ogni angolo del paese dilaga il panico per la minaccia nucleare sovietica al largo di Cuba, è paradigmatica: Mangold orchestra questa sezione immergendo prima lo spettatore nel contesto storico (i celebri tredici giorni che nell’ottobre 1962 sconvolsero gli Stati Uniti e il mondo), per condurlo, poco dopo, ad assistere alla succitata esibizione nella quale si mostra l’immediata risposta del cantautore all’orrore corrente. Uno stacco ci porta al mattino seguente, dove il notiziario annuncia l’acquietarsi delle tensioni e il (momentaneo) scampato pericolo; Dylan, in compagnia di Joan Baez (interpretata da Monica Barbaro), commenta: “Questo è quanto”.

Di riflesso, A Complete Unknown gioca a carte scoperte sull’operazione di falsificazione, e ridefinizione, del mito stesso, a partire dai contorni oscuri che descrivono la figura di Dylan, personaggio che ha da sempre raccontato il proprio passato reinventandolo di volta in volta, in una continua riscrittura e sublimazione di sé stesso. Se, infatti, nel film di Mangold è evidente come l’unica voce che realmente appartenga a una registrazione d’epoca sia quella, riprodotta in maniera emblematica solamente all’inizio, di Woody Guthrie (che canta So long, it’s been good to know you), tutti gli altri numeri musicali sono appunto ricalchi più veri del vero, rievocazioni in corde vocali e corpi nuovi, avatar sospesi tra la nostalgia di una felice congiuntura spazzata via dalla Storia (un mondo, in sostanza, in cui la musica era ancora al centro dei movimenti politici e sociali) e la volontà di infondere quello stesso spirito magico nel contemporaneo.
A questo proposito, il conflitto irrisolto tra fiero attaccamento al passato e doloroso tentativo di ridefinizione dello stesso in forme differenti ha il proprio controcanto nella famosa svolta elettrica di Dylan che, nel 1965, pubblicò i due capolavori epocali Bringing It All Back Home e Highway 61 Revisited, provocando sgomento e delusione in molti suoi vecchi fan. Qui, assistiamo allo scontro tra la “verità” della musica acustica e la “corruzione” dei suoni elettrici, tra la purezza di una proposta musicale che non ha bisogno di mediazioni (bellissima, in questo senso, la scena dove Joan Baez canta The House of the Rising Sun allontanando da sé il microfono, e facendo quindi sentire al pubblico la sua nuda voce) e le nuove possibilità espressive del rock, all’interno delle quali viene però dissipato il contatto intimo e ravvicinato tra artista e pubblico. Forse è proprio questa, parafrasando il sentimento di Pete Seeger (uno splendido Edward Norton), l’origine della grande sconfitta? Si tratta sempre, ovviamente, di una questione politica.