
TRAMA
Los Angeles, sconvolta dagli scontri fra criminali e forze dell’ordine, deve ora fare i conti anche con un essere alieno, invisibile e micidiale, che miete vittime in entrambe le fazioni. I federali vogliono insabbiare e ostacolano le indagini di un poliziotto locale.
RECENSIONI
Il seguito del cult fantahorror di John McTiernan ha tutti i difetti dell’approccio studiato commercialmente e tutti i pregi del miglior prodotto spettacolare. Il marchio del produttore Joel Silver è inconfondibile: spostando l’azione dalla giungla centramericana a quella d’asfalto, dà al tutto il sapore del (suo) poliziesco violento alla Arma Letale, con il Callaghan di turno Danny Glover, interprete perfetto per il ruolo di duro che dà fiducia. La formula è condita con un po’ di Robocop (i reportage televisivi), machismo rambistico (la cauterizzazione delle ferite) e fiato in gola alla Die Hard (per non nominare il papà di Predator, Alien, citato da una divertente scena verso la fine: dentro l’astronave c’è un suo scheletro): il risultato è una macchina schiacciasassi infallibile, elettrizzante dall’inizio alla fine. Il merito è anche del regista giamaicano Stephen Hopkins che, se non ha mai posseduto la personalità di McTiernan, negli anni novanta era senz’altro uno dei più interessanti e capaci artigiani in circolazione: abilissimo con le sequenze ad effetto (uno dei primi prestato dalla scuola di pubblicità e video musicali), non ovviava alle convenzioni e banalità della sceneggiatura trasformandole in qualcosa d’altro, ma le by-passava puntando sagacemente tutto sull’azione, la tensione, la rappresentazione cinematografica (visiva) per mettere in piedi, in questo caso, un affascinante “tenzone” all’antica fra veri uomini/esseri e fra culture diverse. Non si sente certo la mancanza di Schwarzenegger: “l’eroe” è il Predator.
