TRAMA
Paolo Bressan trascorre le sue giornate bevendo vino da Gustino, gestore di un’osteria, e sfuggendo alla polizia stradale. Cinico e misantropo, vede la sua vita sconquassata dall’arrivo di Zoran, nipote quindicenne lasciatogli in “eredità” da una lontana parente slovena. Deciso a scaricare il ragazzo, che non tollera, il prima possibile, si ricrede quando scopre il suo incredibile talento nel tirare freccette…
RECENSIONI
In un'epoca di Benvenuti al Nord/Sud/Centro, di regionalismi utilizzati in chiave comica secondo binari abusatissimi e mai riaggiornati, di accenti terruncielli e di simpatici toscanacci, l'opera prima di Matteo Oleotto piomba come una nave aliena. Mettendo in scena una commedia agra che si aggancia saldamente al suo territorio geografico, senza farne una caricatura né un bigino per turisti, il regista si muove, fisicamente e metaforicamente, in una direzione raramente esplorata dal nostro cinema recente. I luoghi sono quelli della provincia di Gorizia, al confine con la Slovenia: cieli plumbei, gioventù non pervenuta, gomiti alzati fin dal mattino presto. Il vino come stile di vita, nella regione, il Friuli-Venezia Giulia, che si colloca fra i primi posti nella classifica delle più afflitte dalla piaga dell'alcolismo: il personaggio di Paolo Bressan, cinico e inaffidabile, è inseparabile dalla bottiglia, emblema di un'abitudine che sconfina nel vizio e si fa patologia. Pur con qualche forzatura, in un'area caratterizzata da frammentazione culturale e linguistica quasi indecifrabile per i “forestieri” (il coro di Doberdò, per esempio, inneggia all'alcol cantando in friulano, dettaglio poco plausibile nel contesto locale), Oleotto riesce a restituire i tratti del profondo nordest e a mettere al centro dell'opera un protagonista che ne incarna lo spirito senza diventare macchietta. Solidamente aggrappato alle spalle di un generoso Battiston, perfetto nel trasfigurare i suoi lineamenti bonari in maschera di umana grettezza, il film percorre le strade di confine e le tavole dove non manca mai il calice pieno, svoltando bruscamente dalla commedia al dramma, con una nonchalance straniante che rimanda al cinema balcanico e alla sua commistione unica di risata e tragedia. Come la strana coppia Paolo-Zoran, lo zio italiano e il nipote sloveno, anche il film ha natura ibrida e a volte stridente: la mano di Oleotto è ancora acerba e spesso si ha l'impressione che la sua macchina da presa smarrita si incolli con sollievo al one man show di Battiston, incaricato di reggere buona parte di una sceneggiatura a tratti farraginosa. La rappresentazione del dramma dell'alcolismo risulta più ingenua e didascalica rispetto al versante di sgangherato e tenero buddy movie, che nel finale prevede un catartico e un po' telefonato scambio di ruoli fra zio e nipote; ma nel suo piccolo l'esordio di Oleotto ha il coraggio di affezionarsi ai suoi personaggi e di pervadere la messa in scena di una malinconia non rassicurante, due doti rare in una commedia italiana (seppure “di frontiera”).