Documentario

WORKINGMAN’S DEATH

Titolo OriginaleWorkingman's Death
NazioneAustria/ Germania
Anno Produzione2005
Durata122'
Sceneggiatura
Musiche

TRAMA

Esiste ancora la classe operaia? Il documentario si articola in cinque capitoli per trovare la risposta: un viaggio attraverso le miniere illegali dell’Ucraina (EROI), i lavoratori dello zolfo in Indonesia (FANTASMI), gli uomini di un mattatoio in Nigeria (LEONI), una piattaforma petrolifera in Pakistan (FRATELLI), un impianto siderurgico in Cina (FUTURO), una fonderia abbandonata in Germania (EPILOGO)._x000D_

RECENSIONI


Non puoi mangiare per otto ore al giorno, non puoi bere per otto ore al giorno e nemmeno fare l’amore per otto ore al giorno. Quello che puoi fare per otto ore al giorno è solo lavorare. E’ questa la ragione per cui gli uomini rendono se stessi e gli altri così infelici.
William Faulkner

L’austriaco Michael Glawogger, coniugando la mirabile tecnica filmica ad una rara lucidità intellettiva, ci regala una delle perle preziose di questo Festival: sforbiciando la sua opera da ogni risvolto spiegazionistico, la forza del documentario risiede nel potere imprescindibile del mostrare. Paradossalmente l’autore non fa altro che filmare: lavoro, sguardi, corpi, sudore, fatica. Non esiste commento, il campo è sgombro, solo le immagini parlano ed hanno molto da dire: alla scoperta della poliforme condizione lavorativa dell’uomo, immortalata in diversi angoli del pianeta, l’inquadratura insistente di una spalla deformata dal peso di una travertina insinua un intenso disagio, non servono altre parole. Se queste ci sono si affidano rigorosamente ai lavoratori, volti presi dalla strada ma mai autocompassionevoli, al contrario ansiosi di esprimersi senza forzature né pretese particolari, raccontando la loro ordinaria esperienza: Ogni giorno al mattino ringrazio Allah, sentiamo da uno sgozzatore di capre nigeriano costretto a muoversi tra sangue ed interiora, perché mi ha fornito questa abilità che mi permette di vivere. Lavoro primitivo, precario, ignobile ma soprattutto rischioso: Glawogger cattura gli ucraini che convogliano a pranzo nell’angusta cavità di una miniera (Non siamo eroi come Stakhanov, lavoriamo per sopravvivere), i pakistani che impiegano la giornata a 80 metri d’altezza, i nigeriani che inalano ininterrottamente i fumi delle braci…
Impreziosito dalla perfetta fotografia realista di Wolfgang Thaler, il film ritaglia squarci davvero paurosi (basti per tutti il minatore in tuta da lavoro, un mostro della modernità) ma d’innegabile splendore, sino a chiudersi nella vicina Germania: una fonderia dismessa è trasformata in parco giochi, incorniciato da una festa di luci e colori. Il riciclaggio dell’impianto è la fine del lavoro manuale? Nell’indicare la Cina come gigante del futuro il film accenna gentilmente altre strade senza percorrerle del tutto, ricordando che è sempre il dibattito stimolante, mai la sola risposta.

The job is death itself.
Portuale pakistano