
TRAMA
Nel 1887 il giovane segretario Abdul Karim parte dall’India per donare alla regina Vittoria una medaglia in occasione dei festeggiamenti per il Giubileo d’oro, ma inaspettatamente entra nelle grazie dell’anziana sovrana. L’inaudito e incredibile legame scatena una rivolta all’interno della famiglia reale, ma la regina si oppone a corte e parenti e Abdul diventerà, oltre che amico devoto, anche suo precettore e consigliere spirituale.
RECENSIONI
Continua la proficua collaborazione tra Stephen Frears e Judi Dench, dopo il modesto Lady Henderson presenta e il toccante Philomena. La Dench torna anche a rivestire i panni della Regina Vittoria, già interpretata in La mia regina di John Madden. Un ruolo che calza a pennello alla carismatica attrice inglese, specializzata, dopo l’Oscar per Shakespeare in Love (altra sovrana, ma questa volta Elisabetta I), in donne di carattere e dalla battuta pronta. Scelta felice, perché Judi Dench è ormai parte dell’iconografia britannica e vederla in scena contribuisce già molto a dare credibilità al contesto. Originale anche il soggetto, che trae ispirazione dall’omonimo libro di Shrabani Basu e racconta dell’inaspettata amicizia tra la donna all’epoca più potente del mondo (siamo nel 1887, all’apice della popolarità della regina dopo cinquant’anni di regno) e il giovane segretario indiano Abdul Karim. Una storia vera (“per lo più” come specificato nei titoli di testa) che i reali hanno tenuto a mantenere segreta, per evitare scandali ma soprattutto confusione tra colonizzati e colonizzatori, ed emersa solo nel 2010, perfetta per il cinema perché ricca di contrasti dalle grandi potenzialità: differenza di età, di censo, di religione, di nazionalità, di cultura, di lignaggio. In pratica Victoria e Abdul non hanno nulla in comune, se non il bisogno di essere ascoltati senza sentirsi continuamente giudicati. Il film parte un po’ trito ma spumeggiante, illustrando con ironia le consuetudini della vita di corte, la stanchezza della regina rispetto alle formalità del protocollo e l’insofferenza verso lo stuolo di lecchini che la circondano (in primis il figlio Bertie, futuro re Edoardo VII). La sceneggiatura pone basi solide anche nell’incontro con Abdul e nell’inizio di un’amicizia via via sempre più profonda. Dove il film comincia ad arrancare è negli sviluppi che si accontentano di essere innocui, quasi che lo scopo del film, pur agganciandosi a eventi storici reali, fosse solo quello di romanzarli per mantenersi sui binari rassicuranti della commedia di costume. Ad essere poco scandagliate sono soprattutto le motivazioni, non tanto della Regina, ben caratterizzata, pur se caricaturale, con pochi tratti, quanto di Abdul. Di ciò che gli frulla per la testa (candido o arrivista? sincero o calcolatore?) finiamo per non sapere granché e resta personaggio di pura superficie, poco credibile anche nella sua costante gigioneria. Il film procede quindi gradevole ma un poco sottotono, perché imposta le basi di un confronto dalle grandi potenzialità per poi girare un po’ a vuoto, con Abdul che passa da servitore a segretario e infine a munshi (maestro spirituale), attraverso dinamiche che si ripetono pressoché identiche. Ciò non inficia la piacevolezza dell’insieme, ma sviscerare un po’ di più le ombre avrebbe sicuramente contribuito a dare maggiore verosimiglianza e spessore al risultato.
