TRAMA
Un ragazzo deforme che lavora in un circo viene salvato da uno scienziato ambizioso, il dottor Victor Frankenstein. Lo assisterà in un folle esperimento.
RECENSIONI
Non c'è fine alla ripetizione dell'archetipo. Nello stesso anno di Frankenstein di Bernard Rose, Paul McGuigan inscena il romanzo di Mary Shelley ricentrandolo sulla figura di Igor, assistente di Frankestein promosso a protagonista, assente dal libro e introdotto al cinema dal classico di James Whale del 1931, poi 'eternizzato' dal compianto Feldman. Il regista agisce sulla sceneggiatura di Max Landis, figlio di John Landis e riscrittore di luoghi comuni, che in Chronicle aveva già rimodulato in mockumentary a basso budget il film di supereroi, e mette in chiaro la consapevolezza del racconto: «Conoscete questa storia», è l'esplicitazione posta all'inizio. E i primi 15 minuti sono, semplicemente, riusciti. Dopo la funambolica fuga dal circo, già giocata sul concetto di illusione, col riflesso di Victor che induce l'inseguitore a sbagliare mira, il dottor Frankenstein 'elimina' la gobba di Igor: egli la smonta in pochi istanti e così manipola il topos, espungendo la deformità del servo che era elemento indiscusso di molte trasposizioni precedenti. Igor dunque torna normale e, non a caso, alla fine della sequenza si guarda allo specchio rimirando il nuovo sé. Un incipit illusionista, che smaschera il trick iniziale e ne pone uno nuovo, la manipolazione del corpo umano, subito anticipata dal doppio sguardo di Victor e Igor che 'vedono' le articolazioni sottopelle: scavano nella carne, guardano dentro. McGuigan, come in Slevin, conferma una solida coreografia nelle sequenze d'azione e asseconda l'intento manipolatorio, confezionando un inizio visivamente inattaccabile.
Poi anche il film si normalizza. La versione sembra porsi a metà tra rilettura postmoderna e impaginazione letterale, con oscillazione verso la seconda: accoglie alcune varianti, soprattutto nella novità del movente (Frankenstein forma la creatura in sostituzione del fratello morto) e nello sviluppo di nuove figure, oltre al protagonista, come l'ispettore Turpin/Andrew Scott il quale subisce un processo di freakizzazione, con l'installazione della mano artificiale che lo rende parzialmente meccanico e configura come opposto alla normalizzazione di Igor (contrapposizione implicita: togliere la gobba contro acquistare la mano). Ma la storia, tutto sommato, resta nel terreno 'abbastanza' filologico del rispetto della fonte: cè' lo scienziato pazzo che si crede Dio, il conflitto tra scienza e fede, l'esperimento fuori controllo, le cose vanno come sappiamo. In confronto alla continua rimasticazione della favola negli anni Dieci (a titolo di esempio: Hansel & Gretel - cacciatori di streghe), qui la sostanza shelleyiana è di fatto mantenuta. Lo script di Landis jr. prevede una chiusura umanista che filtra col banale: la hybris divina fallisce, ma la più grande invenzione è trovare un amico. La regia - come detto - fa professionalmente la sua parte, meglio nelle riprese action che nei rovelli etico-morali più statici e ideali. Radcliffe torna a frequentare l'horror gotico dopo The Woman in Black, con gli stessi risultati altalenanti dovuti (anche) al discutibile physique du rôle, che suona 'troppo Potter' per sostenere seriamente il contesto dark. Il Frankenstein di McAvoy funziona a metà, a tratti azzeccando il tono ambiguo (cosa è davvero: cattivissimo e/o giustificabile perché animato da buone intenzioni?), a tratti rifugiandosi nel comodo urlo per eseguire i momenti più concitati. Disturbante il patchwork umano-animale della prima creatura, con effetti mediamente repellenti, mentre il mostro/golem finale scorre via senza brividi.