TRAMA
Germania, 1912. Un giovane laureato di umili origini viene assunto in un’acciaieria. Grazie alle sua capacità si guadagna la fiducia dell’anziano e malato proprietario che lo sceglie come segretario personale. Lavorando spesso a casa del padrone il ragazzo ha occasione di conoscere la sua giovane moglie, bella e riservata. Ben presto nasce tra loro un’intesa fatta solo di sguardi e di silenzi, ma quando il giovane si trova costretto a recarsi in Messico per affari, la donna gli rivela il proprio amore e gli promette che al ritorno sarà sua. Separati dall’oceano i due innamorati si scambiano lettere appassionate. Ma scoppia la prima guerra mondiale e i collegamenti tra Europa e Sud America sono interrotti. Trascorrono otto anni, milioni sono i morti a causa della guerra, l’Europa è in rovina. Il giovane torna in Patria. L’amore sarà sopravvissuto al passare del tempo?
RECENSIONI
Patrice Leconte, uno dei più prolifici registi francesi, si mette al servizio del breve romanzo 'Il viaggio nel passato', di Stefan Zweig, incentrato sulla passione silenziosa che nasce tra un giovane di umili origini e la moglie del suo ricco benefattore. Un sentimento che si accende al primo incontro ma che necessita di lungo tempo per emergere e trovare modo di dichiararsi ed esprimersi. Anche perché, prima ancora di un bacio a suggello dell'attrazione provata, i due innamorati saranno costretti a stare lontani per otto lunghi anni, un periodo di tempo infinito in cui la separazione è resa ancora più tragica dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Le motivazioni del film sono subito evidenti dalla scelta della lingua in cui far parlare i personaggi e dal cambio di finale rispetto al testo di origine. Siamo in Germania ma tutti si esprimono in inglese, e il lieto fine ha il sopravvento. Sono quindi le ragioni commerciali, rendere il film più facilmente vendibile, e si suppone fruibile, a dare sostanza a un progetto sulla carta di onesto intrattenimento. Purtroppo, però, il risultato non funziona da nessun punto di vista. La prima cosa che si nota è la totale mancanza di alchimia tra i due protagonisti: Rebecca Hall e Richard Madden non paiono aver nulla da condividere e nonostante siano quasi coetanei (classe 1982 lei e 1986 lui), sembrano distanti, anagraficamente e psicologicamente, anni luce. È sempre un piacere, invece, ritrovare Alan Rickman, ma è confinato nel ruolo abbastanza incolore del vecchio patriarca.
Cast a parte, a non ingranare è proprio la scansione del racconto, con una sceneggiatura incapace di rendere vivo e pulsante il sentire dei personaggi, la loro passione inespressa, il tormento dei silenzi, delle parole non dette, così come non funziona l’impaginazione da fiction televisiva. Stupisce, poi, il totale gelo con cui si segue un melodramma, nella teoria struggente, in realtà mai in grado di coinvolgere o di porre interrogativi sul destino dei personaggi. La fase preparatoria si dilunga senza mordente, il momento clou arriva frettoloso. L’idea di solleticare le nuove generazioni con un amore basato sulla negazione, dove a dominare è la purezza del sentimento, è quanto mai coraggiosa e rivoluzionaria, peccato si traduca in un’opera cinematografica piatta, eccessivamente lineare, anche stilisticamente poco accurata, che non è in grado di lasciare alcuna traccia. Perlomeno non quelle sperate.