Drammatico, Recensione

THE SOUVENIR

Titolo OriginaleThe Souvenir
NazioneU.K.
Anno Produzione2019
Durata120'
Sceneggiatura
Fotografia

TRAMA

Negli anni ’80, Julie è una studentessa inglese di cinema che condivide l’appartamento con dei compagni di classe. Incontra Anthony, un uomo che lavora al Foreign Office e che si trasferisce da lei dopo la partenza dei suoi coinquilini, cominciandovi una relazione

RECENSIONI

Non il testamento di una vita, ma un suo ricordo tattile, una memoria materiale da poter conservare: un Souvenir, una traccia che possa perdurare nel tempo, dire di sé, per quanto minuta, volatile forse, soggetta a consunzione. Alla volubilità emozionale: le iniziali dell'amato che la fanciulla (la Julie di Rosseau?) nel settecentesco dipinto di Fragonard dallo stesso titolo incide su un albero perché la corteccia le protegga più della carta e meglio del vento, quanto avranno vita, nel suo cuore? Eppure un momento così passeggero, volubile, nella realtà subito dimenticato, è imprescindibile, inesauribile, sulla tela dell'arte, e poi riprodotto, osservato dagli occhi di un'altra Julie (Honor Swinton Byrne), anch'essa ritratta negli scorci di un'esperienza amorosa che è naturalmente educazione, al sentimento, alla vita. Rievocata per libera autofiction dalla britannica Joanna Hogg nel dittico (Parte I, 2019, Parte II, 2021) realizzato tra la fine dei 50 e l'inizio dei 60 anni, partendo dall'onestà (una parola su cui i suoi protagonisti riflettono, che in qualche modo dismettono) e affondando, senza per questo imbrigliarsi nella costrizione biografica, in una forma diaristica che prende i contorni di un dialogo con un fantasma. Il fantasma della sé passata-ricostruita-rappresentata-incorporata da un'altra, e dunque un'immagine irraggiungibile, che si dona e al contempo, inevitabilmente, si sottrae alla realzione con lo spettatore. È un doppio che viene meno, un'idea con la quale Hogg giocherà nel film successivo, The Eternal Daughter (2022), per mezzo e per il corpo dell'attrice “che non c'è” per antonomasia, Tilda Swinton, una e bina, madre (anche di Honor) e figlia, realtà e reminiscenza, vero e falso (?).

Il cinema rimette al mondo, e in presenza, la memoria, sembra essere la tesi – in atto, mai ferma, ancora mobile – della cineasta: il cinema sa adattarla a tutto ciò che può ancora essere, ma ne evidenzia un limite struggente, un confine tragico. La memoria può essere solamente messa in scena, per quanto finemente dettagliata, scavata, lavorata. La filologia è un'illusione, l'intenzione museale fallace; perseguire una ricostruzione storica del passato personale tradirebbe la rarefazione propria delle sue modalità di racconto (racconto innatamente rohmeriano come in un'opera precedente, il bellissimo Archipelago), e la particolareggiata concretezza delle cose e delle situazioni sembra al contrario ribadire la propria incorporeità, la propria inafferrabilità.
Quello di Hogg è archivismo poetico, raccolta di immagini che nascondono la morte, un'archeologia del privato che tende a un desiderio inattuabile, un ragionato impressionismo confondibile con il carattere videoartistico – talora documentario. Ancorato al presente che fu: gli anni 80, la Thatcher, l'IRA, i film studies, Alfred Hitchcock, la coscienza del proprio privilegio e i pranzi da Harrods. Un tessuto connettivo che cede alle e accoglie le contraddizioni, le percepisce parte dell'esperienza umana come di quella artistica; e non a caso, nella postura elegantemente intellettuale della vicenda di Julie/Honor/Joanna, studentessa innamorata di un uomo misterioso che lavora al Ministero degli Esteri (davvero?) ed è legato a una dipendenza che sforma la limpidezza del loro legame, batte il cuore e lo spirito di Powell & Pressburger, delle danze senza fine tra l'Aldilà e l'Aldiqua dei loro burattini umanissimi e spettrali. Sono i padrini di questo cinema silenzioso e nevrotico, esoterico, alla ricerca dei meccanismi profondi della psiche e delle emozioni, del ritratto di una vita interiore musicata da una direttrice d'orchestra che sa già a quale melodia porteranno le note, e a quale crescendo. Un cinema pervaso dal dolore di un lutto in cui non ci si smette mai di perdere – per l'amore, per chi si è stati, per le immagini di una volta, per le immagini che ci appartenevano, per quelle a cui appartenevamo noi.