
TRAMA
1974: Samuel Bicke, lasciato dalla moglie e infelice nel lavoro da venditore, spera in un prestito per mettersi in proprio.
RECENSIONI
L’esordio di Mueller è prodotto da pezzi da novanta come i registi Alfonso Cuaron e Alexander Payne e il divo Leonardo Di Caprio. Racconta la vera storia di un uomo qualunque che sfogò nella violenza le proprie frustrazioni, e sbaglia completamente il bersaglio nell’indulgenza con cui ne sposa la causa per dare addosso al Sistema (di cui Nixon è il capro espiatorio), per poi mostrarne con noncuranza l’assoluta insensatezza delle gesta. Un’opera contraddittoria ed ipocrita come il protagonista irrisolto (complice il gigionismo di Penn, cui l’anonima regia di Mueller si affida completamente), vittima ed idealista che è anche bugiardo (ottiene il lavoro mentendo sull’ex-moglie), ladro (ai danni del fratello e del socio) e vigliacco (non ha il coraggio di ammazzare il boss e se la prende con i passeggeri?). A Mueller interessa demonizzare il Sogno Americano che ha istituzionalizzato la menzogna (il commercio) e sceglie il personaggio meno opportuno (soprattutto dopo l’attentato dell’11 Settembre) sulla piazza. Il linguaggio filmico non mente: Bicke ci viene venduto (Mueller resta vittima dei suoi bersagli) come un eroe che sogna un lavoro basato sull’onestà e senza schiavi impiegatizi, che ama la moglie ma è sempre respinto, che s’identifica con le minoranze oppresse (Black Panther e Indiani d’America), che è vittima della solitudine. La voce fuori campo delle "missive" all’estraneo Leonard Bernstein commenta le sue azioni giustificandole. Sono gocce in un mare di scorretto consenso gli accenni patologici (maniacale, impaziente, opprimente): quando fa comodo, Mueller non dà giudizi e nella parte finale si arrampica sugli specchi per difenderlo (uccide il pilota dopo una soggettiva confusa, dimostra buon cuore lasciando l’ostaggio supplicante: ma va!). Taxi Driver, l’opera che si vorrebbe emulare, funzionava perché mostrava la follia e il contesto che la produceva; quest’opera bara perché la esibisce come contingente per dare addosso al contesto.
