Supereroi

SUPERMAN RETURNS

Titolo OriginaleSuperman Returns
NazioneU.S.A./ Australia
Anno Produzione2006
Genere
Durata154'
Scenografia

TRAMA

Dopo 5 anni di assenza (trascorsi in cerca dei rimasugli del suol natio Krypton), Superman torna sulla terra. Lois Lane, nel frattempo, si è sposata, ha avuto un bambino e ha vinto il Pulitzer con un articolo intitolato “perché il mondo non ha bisogno di Superman”. Bella accoglienza. Come se non bastasse, Lex Luthor progetta di utilizzare la kriptonite per diventare il padrone del mondo. Se non è un lavoro per Superman questo…

RECENSIONI

Il supereroe per antonomasia, l’Ur e insieme Über - Held ritorna. Farò forse bene a premettere che non sono mai stato un gran lettore di fumetti: è un mondo del quale ho una conoscenza affatto sommaria, il che mi rende probabilmente sottoqualificato per parlare di questo quasi sequel del film di Richard Donner (e che, tra parentesi, prende atto di Superman II ma ignora bellamente il semiparodico III e il supercult IV) . Questo per dire che sì, sarà anche vero che Singer, al suo terzo incontro con la materia, se ne dimostra sincero conoscitore/amante e che pone meritevolmente l’accento sull’aspetto umano e sulle debolezze dei poco umani super-dotati in calzamaglia, ma insomma la cosa non mi tocca nessuna corda particolare. Quello che però anche il profano sa, ed io con lui, è che l’alter ego di Clark Kent (o il contrario, secondo Bill) travalica ben più dei suoi colleghi X Men i confini dei comics per assurgere allo status di icona a tutto campo. L’aspetto “iconico” sul quale Singer sembra puntare maggiormente è quello nostalgico, ossia il crogiolarsi nel rimpianto (parzialmente re-visionato) di un superomismo duro e puro che non c’è più, nella naivetè di una possibile Giustizia Assoluta, nella speranza in un futuro migliore nel quale il Bene consegue metafisico trionfo sul Male. In tale ottica, l’aggancio diretto ed esplicito al Superman del ‘78 sembra perfetto: il recupero fuori moda e fuori tempo di un film mitico quanto terribilmente datato si fa efficace metafora di una resurrezione impossibile. Il difficile è stabilire in che misura tale “fallimento” sia pre-visto e voluto: l’impressione è che l’oggetto superman, più demodè del previsto ma suo modo “potente”, sia sfuggito di mano ai suoi incauti manipolatori e abbia finito per soffocare tutta l’operazione sotto una cappa di tristezza “vera” e non artificiosamente perseguita, fatta di sogni infranti, brutti ricordi e gioventù dolorosamente perduta. Si esce dal cinema di cattivo umore, vagamente sfiduciati, in preda a uno strano stato d’animo, equivicino a una generica noia quanto a un deciso giramento di palle. La fattura del film dà il suo bel contributo: partenze, fermate, accelerazioni, virate, illusioni e delusioni. Superman Returns non si adagia su nessun registro, accarezza ipotesi “trionfalistiche” ma stempera tutto con autoironia, accenna brusche impennate action per poi inchiodare sull’umanità dei personaggi e sugli aspetti mélo della vicenda, con tanto di colpo di scena soapoperistico. Ovvio corollario: il comprensibile spaesamento di tutti gli attori, con la sola possibile eccezione del protagonista Brandon Routh che appare forte dell’incoscienza del principiante.

Superman ritorna, ma di tempo ne è passato davvero molto. Nel frattempo il cinema è stato invaso da un’ondata di supereroi tecnologici, spettacolari, il più delle volte dark, talvolta superflui. Alcuni sono stati protagonisti di buoni film, ma nessuno ci ha stupito e si è fatto amare quanto il simpatico e modesto Superman del 1978. Nello stesso tempo si è passati dall’atmosfera fine anni Settanta/inizio anni Ottanta a quella decisamente più disincantata del nuovo Millennio. A questo punto, se è fuor di dubbio che l’industria cinematografica ha ancora bisogno di Superman – a meno che non voglia adattarsi a portare sul grande schermo Aquaman (ma ci arriveremo, probabilmente) – resta da verificare se anche il mondo e, nella fattispecie, il pubblico, sente la necessità di ritrovare l’uomo d’acciaio. L’invincibile angelo custode dell’umanità può ancora gratificare una popolazione che crede poco alla Giustizia, poco al trionfo del Bene sul Male, e si è abituata a sentirsi sempre più impaurita e insicura? Gli articoli che, prima dell’uscita del film, scrivevano testualmente “dov’era Superman l’11 settembre?” (!) lasciano quanto meno un forte dubbio in merito. La parziale delusione degli incassi americani della pellicola sembrerebbe confermare la tesi. Superman, inoltre, appare fuori moda se confrontato con i supereroi con superproblemi in voga sul grande schermo negli ultimi anni, dal Batman triste senza poteri soprannaturali allo Spiderman ragazzo complessato e pieno di sensi di colpa. Immedesimarsi nell’alieno invincibile che può tutto è certamente più difficile, fatte salve le parentesi da Clark Kent imbranato snobbato da Lois, che tuttavia è una maschera e sogghigna divertito dall’ingenuità altrui. Eppure nessun supereroe vive un rapporto tanto intenso col genere umano e, quindi, col pubblico. Nessuno manifesta tanto autentico amore per gli uomini e trasmette loro quel soprannaturale, totale, rassicurante senso di protezione, sia quando impedisce ad un aereo pieno di passeggeri di precipitare, sia quando salva un gattino o porta fra le braccia una donna istantaneamente presa dal suo fascino. In questo senso il ritorno si Superman è particolarmente difficile e al tempo stesso particolarmente piacevole.

Evitando di farne impropriamente la copia dei più recenti supereroi gotici, il film di Singer sceglie con decisione la strada della continuità con il Superman cinematografico del passato. Lo fa fin dai titoli di testa kitsch e fuori moda, ma soprattutto con la musica, indimenticabile ed irrinunciabile. Gioca con situazioni e frasi che richiamano, ammiccando, la tradizione del personaggio ("Lei è pazzo", "Superman non lo permetterà", le schermaglie nella sede del giornale...). E ripropone il mix felice di ironia, sentimento, stupore e azione. Lo stupore odierno, però, è decisamente inferiore a quello passato e l’azione funziona ad intermittenza, divisa tra scene spettacolari (come quella dell’aereo nel campo di baseball) e momenti di catastrofismo fracassone. La “trovata malefica” dell’eterno nemico Lex Luthor è in questo episodio particolarmente insulsa e improbabile ed il finale è piuttosto fiacco, rallentato fino alla noia e smorzato da un lato dall’impunità del gran cattivo, dall’altro dalla questione privata lasciata largamente irrisolta. Nei contenuti il fulcro di tutta la storia, oggi come ieri, va individuato nel contrasto tra l'imbranato Kent e Superman, nel legame tra Superman ed il genere umano, nelle rinunce che il suo ruolo impone a Superman (Lois). E tutto questo è reso abbastanza bene, con i limiti del già visto e di una certa superficialità di fondo. La situazione famigliare di Lois, pur portando risvolti nuovi necessari alla saga, è abbozzata senza originalità, con il risentimento per un abbandono senza addio e la sfocata esistenza con un nuovo compagno che appare buono, bello e in gamba ma resta, come spietatamente sottolineato più volte, soltanto un uomo. Sicuramente d’effetto, per come è stato congegnato, il colpo di scena. I due attori protagonisti sono molto giovani, troppo per il "returns" dopo 5 anni. Ma se Brandon Routh, attore alle prime armi (non eccelso, ma neppure Reeve, amato da tutti, lo era) come necessario ricorda moltissimo Christopher Reeve, Kate Bosworth non ha l’aria peperina e grintosa che contraddistingue Lois. È un Lex Luthor molto indovinato Kevin Spacey, anche se pronuncia ogni frase come se si trattasse di una sentenza. Ma ha carisma da vendere, con il suo look retrò-chic, pazzo ironico, freddo e instabile, sognatore e meschino al tempo stesso. Ora che Superman ha un nuovo volto simile al vecchio volto occorrerebbe che l’inventiva, messa al servizio della tradizione, fornisse storie adeguate e coerenza di stile. Per evitare che gineprai famigliari, rumorosa azione computerizzata e noiosa ripetitività convincano il pubblico di non aver più bisogno di Superman.