Fantascienza

STAR WARS EPISODIO II – L’ATTACCO DEI CLONI

Titolo OriginaleStar Wars: Episode II - Attack of the clones
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2002
Durata112'
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…un perfido Jedi, Dooku, minaccia la Repubblica. Questo mentre la vita della senatrice Amidala, ex regina del pianeta Naboo, viene messa in pericolo da misteriosi cacciatori di taglie. A difendere la regina e la Repubblica vengono chiamati, dal vecchio saggio jedi Yoda, Obi-Wan Kenobi (che scoprirà l’esistena di un misterioso pianeta e di un esercito di cloni) ed il suo giovane allievo, Anakin Skywalker. Tra il giovane ribelle e la senatrice nascerà l’amore. Tuttavia, l’attacco dei cloni….

RECENSIONI

Paradisi Artificiali

Star Wars in principio fu un divertissement naif, ironico e coinvolgente poi, a partire dal 1999, anno de La minaccia fantasma, divenne un locus di tecnologia. Ancor più del primo film della seconda trilogia, questo Attacco dei cloni pare essere nato per colpire a suon di meraviglie ipertecnologiche la fantasia sempre più compromessa dello spettatore medio in cerca d’intrattenimento puro. Se l’episodio I deluse le aspettative, questo II sembra destinato a non disattenderle. Pianeti sconosciuti, mostruose creature, esplosioni frastornanti, spettacolari combattimenti: tutto è rigorosamente artificiale, ricreato al computer. Gli attori, spesso spaesati, altre volte perfettamente interagenti con questo mondo fittizio, deboli corpi accecati da un fuoco artificiale di dimensioni intergalattiche, sembrano rivendicare il loro diritto di esistere e si difendono dignitosamente (soprattutto Christensen, attore acerbo ma carismatico). Essi paiono l’eccezione e non la regola giacché, su 135’ di film, pochi sono gli oggetti ed i soggetti che non siano il geniale frutto di complesse alchimie digitali. Anche il personaggio più riuscito (Yoda, presente anche in due episodi della vecchia trilogia, doppiato in italiano probabilmente da un pastore sardo) è una compiuta combinazione di gomma e pixar. Lucas, sostenitore accanito di una cinematografia votata all’intrattenimento intelligente, ha avuto anni ed anni a disposizione per ricostruire gli antefatti della prima, riuscita trilogia. Tuttavia, e questo nuovo episodio ne è la conferma, il regista sembra aver voluto riversare il suo indiscutibile talento nella ricerca di nuove e più efficaci tecnologie digitali e non nella costruzione del racconto e dei personaggi. La sceneggiatura è, in questo come nel film del 1999, davvero misera. Eppure il materiale, i personaggi, le situazioni avrebbero davvero potuto fare di questa nuova trilogia un ensemble degno del predecessore degli anni settanta/ottanta e del rivale tolkienianjacksoniano. Non solo sono del tutto assenti le battute fulminanti (quasi da vecchia commedia sofisticata) dei precedenti episodi ma anche la concatenazione degli eventi, la scansione narrativa, il montaggio parallelo, non possiedono la vecchia naturalezza ed appaiono spesso macchinosi. L’ipertrofia (per un lungo tratto si accavallano le vicende di Obi-Wan Kenobi sul pianeta dei cloni, l’amore tra Amidala e Anakin Skywalker “sul lago di Como”, poi ancora le ricerche di Obi-Wan Kenobi sul pianeta di Dooku e il ritorno di Anakin nel “natio borgo selvaggio”) per una volta non è causata da un eccesso di materiale narrativo bensì, paradossalmente, da una carenza. Con essa il regista vorrebbe occultare l’evidente scarsa originalità del plot. L’unico episodio narrativo davvero inquietante (la scoperta del pianeta “occulto”) viene poi sacrificato da una sorta di frenesia affabulatoria.   Tuttavia, nonostante questa sostanziale debolezza di sceneggiatura (anche la love story è piuttosto risibile), dal punto di vista squisitamente visivo il film è indubbiamente sorprendente. Lucas, più che un grande regista, è un ottimo costruttore di paradisi artificiali e di inquietanti valli infernali, di mirabolanti diavolerie digitali e di strepitose coreografie circensi. Da buon (e furbo) cinefilo azzarda qualche citazione da grandi film del passato: da quella scontata della “Metropolis” langhiana a quella irresistibile dei “Tempi moderni” di Chaplin; da quella doverosa dei “Sentieri Selvaggi” di Ford (la spietata vendetta di Anakin ricorda quella di John Wayne) a quella poco raffinata ma efficace del “Gladiatore” e del peplum, già ampiamente omaggiato nel precedente La minaccia fantasma. La sola scena nel “colosseo”, con quelle spade laser che all’improvviso si illuminano tra la folla alata e bavosa ripristinando l’equilibrio tra le forze, varrebbe il prezzo del biglietto. Rispetto alla solarità del film del 1999, qui dominano atmosfere cupe e tutto sembra dominato dalle oscure forze del male. Il finale rimane sospeso esattamente come nel secondo episodio della vecchia trilogia (tra l’altro l’ultima inquadratura con i protagonisti ripresi in controluce di spalle ricorda l’ultima de L’impero colpisce ancora). Certo, si ha l’impressione che si sia persa la freschezza e il puro piacere dell’affabulazione dei primi episodi, ma il divertimento è assicurato e il piacere di ritrovare i vecchi eroi della nostra giovinezza (paradossalmente più giovani e scattanti) rende meno assillante la consapevolezza che la Forza della fantasia stia lentamente abbandonando il buon vecchio George.

La domanda e' piu' che lecita dopo che "La minaccia fantasma" aveva anteposto la tecnica all'emozione, proponendo un soporifero pastiche privo di particolare interesse verso i personaggi ed il loro destino. E nel quinto capitolo della saga stellare, al suo venticinquesimo compleanno, George Lucas riesce con maggiore equilibrio a raccontare il suo mondo "tanto lontano", ormai entrato nell'immaginario collettivo di piu' di una generazione. I protagonisti e le loro gesta non riescono ad appassionare, ma si resta incollati allo schermo per quel senso di meraviglia che riporta agli albori del cinema e alla necessita' di vedere cose mai viste e che mai si vedranno. Ecco quindi un patrimonio di immagini con radici lontane, frullato e concentrato in un film dove il dettaglio e' curato in modo maniacale, per stupire e divertire, con scenografie digitali mozzafiato a racchiudere missioni impossibili "big and bigger than life".
Il lato debole della "forza" resta sempre la sceneggiatura, con dialoghi spesso bruttini che rischiano di mortificare l'efficacia dell'azione. Basta pensare alla fredda scena d'amore sul lago di Como (ma potrebbe essere un qualsiasi sfondo virtuale) tra Padme' Amidala e Anakin Skywalker, in cui frasi come "Mi sei entrata nell'anima!", "Non viviamo nel mondo dei sogni!", "Non possiamo vivere nella menzogna!" fino all'improponibile "Io sono una senatrice e tu uno Jedi!" sembrano un "Bignami" delle peggiori telenovele. Si sente la mancanza di un po' di ironia a stemperare le tinte, a rendere accettabili le convenzioni delle galassie in cui si muovono i personaggi, a smitizzare l'invulnerabilita' degli infallibili eroi. Anche se dialoghi come "Dov'e' mia madre?" "Tua madre e' uscita presto per raccogliere i funghi che crescono sui vaporatori!" sono troppo smaccatamente "trash" per non pensare che la mente creatrice non sia ben consapevole degli effetti risibili che procurano.
Gli attori si districano come possono tra personaggi virtuali e fondali digitali: Hayden Christensen ben incarna l'ambiguita' di Anakin Skywalker (futuro Darth Vader) e rende con grinta l'esuberanza del suo ormentato cavaliere. Natalie Portman e' un po' spaesata, prigioniera di abiti impossibili che rendono la sua senatrice una spassosa caricatura priva di spessore (gia' si immagina la parodia di Mel Brooks). Ewan McGregor ha la faccia giusta ma poco carisma, o perlomeno non il carisma necessario per unire la saggezza, il rigore e la potenza di Obi-Wan Kenobi. Samuel L. Jackson e' poco piu' che una comparsata di lusso, Pernilla August appare un attimo (e la tragicita' della scena di cui e' protagonista cade nel ridicolo involontario) e Christopher Lee, forse poco abituato a recitare davanti al "blue-screen", pare piu' di passaggio che realmente convinto di cio' che dice. Joda e' stato quasi interamente digitalizzato per consentirgli movimenti altrimenti impossibili, ma resta una delle creature piu' riuscite ed espressive dell'intera saga, a parte qualche banalita' venduta per saggezza in un dialetto pseudo sardo. Grazie al cielo l'odioso e interamente di sintesi Jar-Jar, vero buco nell'acqua della precedente avventura, compare fugacemente in poche sequenze (anche se ce lo ritroviamo al Senato!!!). In alcuni momenti si riscopre la magia, il senso epico dell'avvenuta tout-court, come nella lunga sequenza ambientata sul pianeta Kamino o nella caotica, ma ben condotta, battaglia in cui i protagonisti diventano gladiatori dell'arena di mostri. Insomma, nonostante l'ingenuita', la carenza narrativa, il minore appeal di personaggi e attori, il grande spettacolo e' garantito. Colpisce soprattutto la capacita' di George Lucas di dare una forma concreta ai propri sogni (o incubi) attraverso una combinazione di immagini e suoni, forse puerile e frastornante, ma di innegabile impatto. Il cinema non e' soltanto questo, e una maggiore attenzione a personaggi e situazioni avrebbe potuto rinvigorire davvero il MITO della prima serie. Ma, occorre ricordarlo, e' ANCHE questo. E allora, lustriamoci gli occhi e gustiamoci il viaggio, sperando che il terzo episodio (e si suppone ultimo) in arrivo tra qualche anno, riesca anche a scaldare il cuore.

Che la Forza sia con (non tutti) voi

Ma come si fa? Si può recensire seriamente, serenamente un Mito? Il rischio è quello di sconfinare ovunque, di spaziare dalla mito(appunto...)poietica all’analisi sociologica passando per Costume, Società & psicologia. E il film in questione? Perso di vista, risucchiato, liquidato in tre parole, quasi en passant, perché non è (più) quello, ormai, che conta nello StarWarsUniverse... il brutto/bello è che la cosa è quasi inevitabile: il “testo” Episode II forza, evade e trascende i propri limiti testuali e si rivela semplicemente ingiudicabile in sé, in quanto “testo” da leggere e valutare. Intanto il presupposto per, quantomeno, (intel)leggerlo è la conoscenza elementare della saga, il che è solo apparentemente un’ovvietà: l’essere a digiuno di Forza e Jedi rende letteralmente analfabeti. Non solo, il presupposto per goderselo, Episode II, è una conoscenza approfondita della saga stessa, perché la struttura “a prequel” applicata a una saga galattica così dilatata negli anni richiede una invidiabile capacità di orientarsi, capacità acquisibile solo attraverso ripetute, attente re-visioni. Ancora, il presupposto per appassionarsi a Episode II è una preesistente passione per l’esalogia senza la quale i tasti dell’emozione non verranno mai premuti da questo penultimo-secondo tassello del mosaico di George Lucas. Va da sé che date queste “conditio sine qua non” e le molte altre che non elenco per scongiurare il tedio aggirando l’ovvio, il critico si trova spiazzato e indeciso, disorientato da un testo multiforme e a suo modo misterioso che pur essendo una superproduzione -ergo- generalmente furba, lucrosa e impersonale per definizione, diventa paradossalmente personalissima e schiava della soggettività del giudizio...
Dunque mi presento: sono un fan moderato di Star Wars, nel senso che non so quanto fa con un litro il Millennium Falcon né l’età alla quale Chewbecca ha perso la verginità, ma non mi sono ancora del tutto emancipato dal fascino della Forza, presenza costante ma non pressante nella mia infanzia cinefila. Star Wars: Episode II  mi è piaciuto. Tanto. Intanto è un decis(iv)o passo in avanti rispetto al deprecabile Episode I che aveva seriamente rischiato non solo di arrestare l’inerziale e apparentemente inarrestabile forza della Forza nei cuori dei jedofili, ma aveva addirittura gettato un’ombra inquietante su un passato glorioso e apparentemente intoccabile. Colpa di una sceneggiatura piatta, di un ritmo claudicante, di pessimi personaggi di contorno ma soprattutto di riferimenti troppo indiretti alla ur-trilogia e di spiegazioni semplicistiche e insoddisfacenti di fenomeni mitico-magici, come la possibile misurazione della Forza di un Jedi attraverso la constatazione della concentrazione di tali “midiclorians” nel sangue... della serie: ti faccio un’emoscopia e ti dico quanto Jedi sei. Episode II è un sospiro di sollievo. La vicenda di contorno rimane forse macchinosa e farraginosa ma Lucas ha dotato il film di un ritmo frenetico, lo ha reso vario e “mobile” con continui cambi di location, lo ha dotato di una spettacolarità ingenua ma ineguagliabile, ha diretto gli attori in maniera decente ma soprattutto ha maneggiato i suoi tesori con maggiore scaltrezza e determinazione, rendendo più palesi e precisi gli agganci col passato-futuro, sfruttando così (finalmente!) appieno l’ottima idea del prequel che costringe a un continuo andirivieni temporale/emotivo. Si delinea, dunque, il carattere irruente di Anakin la sua inconsapevole e rabbiosa inclinazione al Lato Oscuro, si fa luce sul passato del cacciatore di taglie Boba Fett, si chiarisce l’origine degli sterminati eserciti senza volto e della litigiosa amicizia tra C-3P8 e R2-D2, si lanciano terribili premonizioni Jedi (Obi-Wan che dice ad Anakin: “sento che sarai la mia fine”), si getta nuova luce sui futuri destini della Repubblica e si (intra)vede un’icona guerrestellaresca come la Morte Nera ... questi e mille altri sono i riferimenti che non mancheranno di deliziare gli aficionados, i quali però si sentiranno letteralmente mancare a circa venti minuti dalla fine del film. Lucas infatti ha pensato bene di dare maggior spazio e risalto a quello che è forse il personaggio più amato, omaggiato e rispettato dell’esalogia: il maestro Yoda. L’ex pupazzo ora interamente generato al computer, il più Jedi tra i Jedi, non solo non manca di dar nuovamente prova di tutta la sua proverbiale moderazione, saggezza e sapienza, ma per la prima volta nella storia della galassia lontana lontana di Star Wars sfoggia le proprie doti guerriere... vederlo impugnare la spada laser e sferrare impeccabili fendenti volanti è un’emozione/evento difficile da descrivere, nonché emblema dell’impossibilità di cristallizzare un giudizio estetico-emotivo univoco per “le parti” e “il tutto” (di) Episode II: i fan di vecchia data, distribuiti su diversi livelli di fanatismo, non mancheranno di avvertire immediatamente come epocale la singolar tenzone ingaggiata dal Maestro e sentiranno la Forza scorrere potente nelle loro vene tornate bambine, mentre i neofiti più o meno neo- sorvoleranno tranquillamente sull’episodio, lamenteranno magari l’”inverosimiglianza” della cosa (“ma allora a cosa gli serve il bastone”? sentenzierà qualcuno) o addirittura bolleranno l’ometto verde combattente come (involontariamente) ridicolo. Ultime due note, non a margine: 1) altri elementi confermano la ritrovata vena di George Lucas e soprattutto la sua rinnovata voglia di divertire/divertirsi, a cominciare da uno sfrenato citazionismo fantascientifico (Metropolis, Blade Runner et cetera...), la voglia e capacità di prodursi in gag degne di nota (C-3P8 che “perde la testa” e va in crisi di identità) o il modo beffardo e provocatorio in cui ha risposto anticipatamente a chi lo avrebbe accusato di estetica da videogame, inserendo cioè una lunga sequenza in cui Amidala diventa la protagonista di quella che tecnicamente, in un’analisi in chiave videoludica del film, si chiamerebbe “sezione platform”. 2) Per la prima volta, con Episode II, viene in qualche modo appalesato il legame non scritto che unisce la saga lucasiana alla trilogia dell’anello di Tolkien: Christopher Lee, che ne La Compagnia dell’Anello di Peter Jackson interpretava il mago Saruman, in Episode II interpreta una sorta di suo esatto “corrispondente”, quel Darth Tyranus un tempo schierato dalla parte del Bene ma divenuto schiavo del Lato Oscuro della Forza(-Magia... proprio come Saruman, dunque) e pronto a sfidare un emblematico alter ego positivo, ossia l’uberjedi Yoda a sua volta perfetto doppio dell’ubermago Gandalf affrontato dallo stesso Saruman...

Un, DUE, Tre - ?

In Star Wars (Guerre Stellari, 1977), episodio IV, Ben (Obi-Wan) Kenobi rivela al giovane Luke Skywalker di aver combattuto al fianco di suo padre Anakin nelle guerre dei cloni. La frase che chiude Episode II: The Attack of the Clones appunto annuncia - dopo averlo mostrato - l'inizio di queste guerre. Diciamolo subito, questo Ep. II ha molteplici aspetti di interesse, non esclude del tutto lo spettatore digiuno del LucasWorld ma si pone da subito per le sue valenze di intertestualità: seguito del miserabile Episodio I: La Minaccia Fantasma, quindi seconda componente della trilogia che funge da prequel a quella storica terminata nel 1983 e riproposta nel '97 in edizione riveduta, non presuppone solo pre-conoscenze di base ma pure ri-chiede nuove formulazioni su queste e fornisce chiarimenti; a tutti gli effetti si scinde nel suo essere una prima visione e nel pretendere d'essere medium d'una seconda lettura. Ad esempio, chiarificatrice è la perdita del braccio da parte di Anakin per mano di Dooku: evento preparato con maestria nella complessa sequenza sulla catena di montaggio, ove già il braccio gli viene bloccato e rivestito di metallo, catafora del futuro arto artificiale ma ne "Il ritorno dello Jedi" si era già mostrato Darth Vader con la protesi mozzata, il conoscitore dunque ingrana un complesso di rimandi teso a chiudere il mondo filmico, il suo è un ritorno su pagine note, o meglio, su pagine sperate ed attese per un ventennio.
Lo spettatore "comune" è disarmato rispetto a tutto questo? Probabilmente molti dettagli rimangono inerti tracce tramiche ma è indubbio che il sapere extratestuale, vien da dire culturale, in merito a StarWars sia ampiamente diffuso ed in più Lucas ha fatto di tutto per estenderlo capillarmente, attraverso la sua persona e l'infrastruttura LucasArt - Industrial Light and Magic - Skywalker(!!) Sound, nonché con l'edizione del ventennale della trilogia storica, ripulita e aggiornata con inserti completamente digitali, per non dimenticare le parodie a partire dal fondamentale "Balle Spaziali" di Mel Brooks.
Questo ci riporta all'Episodio II, ampio quadro sulla Repubblica in declino, sull'emergere (da dove? il mistero per la terza programmata trilogia?) del Lato Oscuro della Forza, il cedere a questa dell'apprendista Jedi Anakin e la storia d'amore con la senatrice Padmè Amidala: la maturità avanzata di un cosmo, il suo declino morale(-istico) assume caratteri sgargianti di un mastodontico accasciarsi, un "Titanic" interstellare - non si sottovaluti il riferimento al film omonimo - dall'amplissima visione e complessità organizzativa. Le location (pur fittizie e ricostuite con una perizia del tutto assente in Ep I) si moltiplicano di pari passo con personaggi e situazioni conducendo ad un collasso evidente e sospeso: il film si conclude con un inizio, come si diceva prima, ed è proprio Yoda, il saggio Jedi a traghettarci in un futuro buio, in cui i percorsi di attesa e soddisfazione dello spettatore vengono troncati, in attesa. Siamo nel cuore del progetto, enorme "morte nera" - che compare per la prima volta assieme al tema del lato oscuro legato ad Anakin - che si dirige alla distruzione.
Lucas estende e colma lacune, gestisce una quantità inverosimile di apporti digitali e situazioni di cui è unico, plurimamente accreditato, detentore: si è tutti consapevoli di quale sia la foce di questa trilogia e per soddisfare un'attesa che è cresciuta di pari passo con la fama ed il merchandising si ha ora a che fare con una pura metatestualità, enorme e decadente come la situazione di cui tratta, questo episodio mediano è pura estensione, moltiplicazione matematica (algoritmica pensando a quanti programmatori ci sono di mezzo), l'antefatto d'un Mito, attendendoci alla vicenda in divenire, non ha (più) le valenze favolistiche (e comiche: equivoci, agnizioni, battibecchi amorosi come nella più infantile delle commedie americane) ma è action movie. Uomini che non sono ancora simboli e dunque individualità pure gettate in un cotesto in vertiginoso movimento di tracollo, trascinati nel fare. Dalla crisi usciranno, salvatori, i bambini Leila e Luke, nuove speranze, innocenza, valori statici ora (meglio: allora) la disgregazione ha bisogno di caratteri definiti, complessi, saturantesi. Qui la falla che si apre.
In base a queste ipotesi sono apprezzabili i tentativi d'intraprendere generi adulti - come quello dell'azione pura con subplot romantico, di condensare riferimenti metacinematografici (Metropolis, Blade Runner, etc) e di placare la sete di sapere dello spettatore ma un casting a dir poco discutibile (Hayden Christensen è quanto di peggio ci si potesse aspettare), dialoghi copincollati dai peggiori polpettoni mielosi (povera Portman costretta a dire con stolida serietà una tale serie di luoghi comuni), la smania di far vedere tutto quello che non si era visto (Yoda con spada laser su tutti) distrugge definitivamente l'alone di fascino misterioso, lontano ma umano e vicino, di Guerre Stellari + L'Impero Colpisce ancora + Il Ritorno dello Jedi: una lettura a posteriori, un viluppo temporale in cui è difficile districarsi al momento ma inevitabile.
Sotto questo punto di vista L'Attacco dei Cloni è il sintomo lampante di una rifondazione iniziata da Ep. I, fallimentare ed ambizioso per di più quest'ultimo, un cambiamento di tono - soprattutto nel trattare il sentimento e la figura femminile - e struttura atto a stagliare la possibilità d'autonomia di questo gruppo di realizzazioni (nel 2005 Episode III) che quindi per ora rimane monco, valutabile solo in relazione con gli
altri anelli e per questo incomprensibile parte di un piano organico.
Divertente, zoppicante, sembra proprio un antipasto.
Una menzione particolare per Nathalie Portman, la migliore del gruppo d'attori, Lucas le permette di mostrare le sue grazie, grazie.

L'Impero colpisce ancora

Anima digitale: il secondo capitolo de Il Signore degli Anelli lucasiano linka (con curiosi antefatti e colpi di scena) alla trilogia del passato ma pretende cittadinanza nel moderno impero degli effetti speciali, sacrificando l'epica del racconto avventuroso all'accumulo cinetico di meraviglia, indotta da un trip lisergico nei microchip di un videogioco. La sceneggiatura alterna in modo programmatico stasi e movimento, cita e clona l'immaginario fantastico (si parte con il noir urbano di Blade Runner e si chiude con un duello fra I Maghi del Terrore, passando dal peplum e Metropolis), replica (ancora principesse da salvare, maestri ed allievi, disciplina e ribellione, inseguimenti e percorsi paralleli) una storia semplice ma non semplicistica, ragionata nei temi etico-politici (dove inizia la dittatura, come la guerra sfuma i contorni del Bene e del Male e come quest'ultimo operi attraverso il primo tramite la menzogna). L’Attacco dei Cloni ha una marcia in più rispetto a La Minaccia Fantasma, è più coeso ed appassionante, ugualmente attraente nel tripudio di trucchi ed invenzioni visive, soprattutto intrigante nel momento in cui, come L’Impero Colpisce Ancora, esplora la "parte oscura" rendendo protagonista la tempestosa maturazione di Anakin, futuro Jedi del Male. Vediamo al microscopio i parassiti della sua anima, immaginiamo l'infezione nutrita con amore, rabbia, dolore, paura ed impotenza. Gli scenari del Lago di Como ridimensionano la veridicità di scenografie e coreografie animate al computer e le scene d’azione sono davvero degne di nota: la caduta libera di Anakin appeso al robot-killer, il duello di Obi-Wan con il sicario, i Jedi nell'arena con mostri e rodeo, la memorabile battaglia finale fra cloni e droidi e, dulcis in fundo, l'agilità del piccolo Yoda contro il gotico Christopher Lee. Allo stupido personaggio del robot C3PO risponde la simpatia del cuoco Dex.