Drammatico, Netflix

SILVESTRE

Titolo OriginaleSilvestre
NazionePortogallo
Anno Produzione1981
Durata120'

TRAMA

La minorenne Silvia, figlia di nobili, è promessa sposa ad un laido individuo. Una sera si presenta all’uscio di casa un mendicante che, con un incantesimo, possiede la di lei sorella. Silvia gli tronca la mano con una spada.

RECENSIONI

Monteiro si riaffaccia sul grande schermo con un’opera insieme estrosa, estraniata, intrigante, improponibile, peccaminosa ed angelica. Chi conosce l’autore/attore (qui fa una comparsata da…re) sa che, più che giocare con le perversioni, è un pervertito strohemiano col nulla osta dell’Arte e una propizia autoironia. Il sale della vita di questa fiaba (tratta dai racconti di tradizione orale del XV secolo “A mao do finado” e “A donzela que vai à guerra”) con tanto di cavaliere nero, malefici, arance incantate e draghi, sono le digressioni voyeuristiche (le adolescenti intente a lavarsi nel letto del fiume; la tinozza in cui uno stuolo di fanciulle lava il capofamiglia), le deviazioni nostalgiche (per un tempo in cui gli anziani impalmavano acerbe fanciulle), le depravazioni (la sequenza in cui il “maligno” possiede la sorella mentre tasta la piccola Silvia) e le malizie (l’apprezzamento per le donne magre: “La carne vicino all’osso è sempre la più gustosa”; il feroce disegno delle due mogli insoddisfatte voraci del fanciullino). Lo stile è de oliveiriano, teatrale (fondali di cartapesta alternati a suadenti riprese in esterno), incorniciato a camera fissa per interminabili piani sequenza. La prima, faticosa parte s’accende nei pastelli della fotografia di Acácio de Almeida, curiosa nel suo utilizzo delle tinte unite e nei vari richiami pittorici accompagnati dalle musiche di Monteverdi, Mozart, Scubert e Varèse (splendida la simulazione del cambiamento graduale della luminosità all’alba). Quando Silvia diventa Silvestre (“uomo” che va in guerra), nella seconda parte, la vena sperimentale sin lì manifestatasi nel profilmico s’insinua nella drammaturgia, caustica, provocatoria (l’immobile combattimento che richiama “San Sebastiano e il Drago”; la fuga dall’azione della battaglia inquadrando un masso), con soluzioni sempre più eccentriche (l’obiettivo che si colora di rosso), consapevoli di possedere nello sguardo l’indimenticabile fisicità dell’androgina protagonista.