TRAMA
Una troupe è al lavoro sul set di “Living in oblivion”, film a basso costo. Sia il regista che l’interprete principale, di notte, sognano che tutto andrà a rotoli.
RECENSIONI
Il set cinematografico come l'oblio, sospeso fra sogno e realtà. L'Effetto Notte di Tom Di Cillo sceglie l'autoironia per raffigurare, con una sapida leggerezza degna di Truffaut, le fobie e le speranze che caricano di tensione i giorni di ripresa. Fra flirt improvvisati, capricci delle stars, invidie, pettegolezzi, problemi tecnici ed infiniti ciak (spesso le scene migliori accadono a motore spento) il regista ha un bel da fare a rispettare la tabella di marcia, dovendosi muovere in punta di piedi fra le uova, con le armi della diplomazia e mille orecchi (microfoni compresi) pronti a coglierlo impreparato. La metacinematografia di Di Cillo ha l'occhio beffardo dell'indipendente che, sui sets, ha visto troppi casi fortuiti, improvvisazioni e disastri per potersi permettere di accendere una fiaccola nostalgica e riflessiva, lasciandosi andare, magari, a quel mix di affetto e disincanto che contraddistingueva l'opera di Truffaut. In sede di sceneggiatura, però, l'autore ha avuto un colpo di genio: impostare l'intero film su tre ciak di film nel film, rivelando che due di questi sono degli incubi ed il terzo ha un buon esito solo grazie all'imprevisto. Il tutto alterna il bianco e nero al colore, a seconda che la realtà (o la sua rappresentazione) sia sognata, ripresa, interpretata o osservata attraverso la macchina da presa. Dopo la buffissima rivolta del nano contro gli stereotipi del film surreale alla David Lynch, il set, in trenta secondi di silenzio, si trasforma in un tempio dove i "fedeli", in attesa di gratificazioni, fanno volare le visioni dei propri desideri, ognuno col proprio "film" in tasca.
