TRAMA
Tara, Jake, Troy, Lisa e Holly decidono di assumere i migliori funghi allucinogeni del mondo e si recano nei boschi dell’Irlanda del Nord.
RECENSIONI
Cause I was high when I wrote this
Bella idea quella dello sceneggiatore Pearse Elliott: girare un horror su un gruppo di ragazzuoli sotto trip. La raccoglie prontamente Paddy Breathnach, conosciuto da noi per I dilettanti, e arriva in sala (con due anni di ritardo) un esercizio di genere dal vecchio continente; quanto più affascinanti le premesse, però, tanto più vibrano evidenti i motivi del suo pieno fallimento. Shrooms poteva andare in due modi: fare una scelta astratta, allucinata come lo scenario di partenza, ripiegare lo scudo razionale e puntare sul bad trip senza sentire ragioni; oppure imboccare una strada logica, impastare tra loro i dati di genere, umanizzare tutto e servire una soluzione terrena. Il film nei primi minuti preferisce la 1), ma poi punta decisamente sulla 2) e non la molla più. Così, a un incipit “spostato” che pare conoscere bene il fascino del fuori luogo – il vero urlo non deriva dallo specifico, piuttosto archetipico (l’auto che investe “qualcosa”, la bestia agonizzante), ma da comparse repentine, strani incontri, dialoghi impossibili (Bluto e la mucca, la sequenza migliore) -, si sostituisce una lunga successione di banalità horrorifiche, distrattamente evocate o rappresentate en passant. E il clima diventa rassicurante: perché creature boschive, monaci crudeli e bimbi maltrattati suonano, per paradosso, più comodamente riconoscibili e meno destabilizzanti dell’abbandono alla pura follia. Lo script e la regia fanno il resto: l’uno chiaramente sbrigativo, impegnato ad accumulare battute di circostanza confuse e contraddittorie (la pessima psicologia di Jake: prima cool e trasgressivo, dopo con Tara “restiamo solo amici”…); l’altra forsennata e isterica, dunque informe, praticamente disperata nella sua ansia di ravvivare la materia con sgranature, ralenti, primi piani. Che Breathnach non sia regista horror, risulta poi evidente: basti la ripresa dell’evirazione di Bluto, in cui il dilemma mostrare/non mostrare viene “irrisolto” con palese imbarazzo (accomodarsi a lezione da Hostel 2, prego); che non sfrutti lo spunto ambientale è il maggiore rimpianto, dato che l’Irlanda retrograda delle Magdalene non si ferma al “collegio maledetto” e non bastano brevi panoramiche per incidere la cifra del suo paesaggio inquieto. Sincero sconcerto, invece, sui termini concettuali dell’operazione: qui l’horror europeo rovescia completamente le aspettative all’insegna di nessuna personalità, attori qualunque, pilota automatico, omologazione al modello americano dominante. Omissis sulla “sorpresa” finale.
Con questa produzione l’Irlanda si affida ad uno dei suoi registi (commerciali) di punta e tenta di competere con Hollywood sul terreno delle decine di slasher-teen movies che sforna ogni anno, tutti uguali a se stessi. Risultato raggiunto: è brutto tale e quale. L’unica storia che valeva davvero la pena raccontare è quella (su di una scuola religiosa, un frate crudele, un gemello incappucciato) che il virgilio irlandese spreca per spaventare i ragazzini americani davanti al fuoco: la pessima sceneggiatura di Pearse Elliott (già assunto da Breathnach per Man About Dog) preferisce la banalissima caccia nei boschi, con le vittime che cadono una ad una ed ha l’infelice idea di una protagonista veggente (rovina anche le poche sorprese); non male, invece, il colpo di scena finale, sprecato e mal sfruttato. Gli omicidi sono fuori campo e di paura non c’è neanche l’ombra: Breathnach non sembra molto dotato nel genere, utilizza (bene) gli effetti digitali per le sequenze allucinate ma si perde del tutto con spaventi telefonati ed espedienti (solo) effettistici. A rovinare le poche speranze dell’opera, anche caratteri protagonisti insopportabili: regola del genere vuole, da trent’anni a questa parte (che noia!), che i ragazzini vadano in vacanze proibite e siano decerebrati. Shrooms nel senso di mushrooms, funghi.