Animazione

RATATOUILLE

Titolo OriginaleRatatouille
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Durata110'
Sceneggiatura
Scenografia

TRAMA

Un ratto di campagna, ipersensibile al “buon gusto”, si ritrova nella cucina di un ristorante un tempo gestito da uno dei più grandi chef parigini…

RECENSIONI

La stella della Pixar, appena appannata dopo il parzialmente deludente Cars, torna a brillare: Ratatouille, oltre ad essere tecnicamente stupefacente, è probabilmente il miglior film della casa di Lasseter dai tempi di Monster’s & Co.
Narrando le avventure del topo dal gusto incredibile, capace di forgiare a distanza, manovrando un giovane inetto, deliziosi manicaretti, gli autori affrontano con intelligenza e straordinaria lucidità questioni delicate quali il superamento della diffidenza iniziale nei confronti dell’ “altro” (tutta la scena sotto il ponte Alexandre III ruota attorno a questo: topo imbottigliato e giovane cuoco che non sa se eliminarlo o iniziare a “dialogare” con lui), la necessità di abolire le costruzioni/gabbie identitarie per poter comunicare, l’oltrepassamento della comunità di appartenenza in nome dell’arte (definito da molti teorici “passing”/disidentificazione) e, sempre in nome dell’arte, il costituirsi di universi/famiglie inevitabilmente “meticci” (la cucina è multietnica come quasi tutte le cucine francesi) dove poter liberamente “essere”, luogo di diffusione e di condivisione della creatività.
Tradizionale nell’impianto narrativo da fabula classica ma capace di tocchi quasi “rivoluzionari” – il ratto, perduta la famiglia, presto si dimentica di ricercare l’ “oggetto valore”, preferendo inseguire il proprio sogno: come a dire, non è necessario recuperare o mantenere un contatto con l’Origine (le Radici etc.) per poter costruire il proprio futuro – Ratatouille si prende gioco saggiamente e con intelligenza della  critica spocchiosa e “terroristica”, gelidamente analitica, incapace di amare perché immemore dei piaceri, del gioco, dello spirito dell’infanzia: il momento clou dell’illuminazione proustiana, in cui il critico gastronomico, assaporando un piatto, per  una sorta di “effetto Ratatouille”, si “rivede” bambino è sublime ed universale. Della serie: per avanzare (nella vita, nell’arte, nella critica) occorre inevitabilmente regredire…

Non crediate che non mi dolga ripetermi ma sono sempre più convinto che alla Pixar abbiano bisogno di Mr. Stanton: a conti fatti, a tutt’oggi, il suo Finding Nemo resta la pixarata più solida, coerente e coesa. Finding Nemo aveva tutto. Date per scontate le maraviglie tecn(olog)iche e le gag visive, Nemo aveva soprattutto una narrazione agile e svelta, con serrata rincorsa al riassettarsi degli equilibri, aveva dei dialoghi spumeggianti ed efficacissimi, personaggi tridimensionali e testi/sottotesti chiari nella loro semplicità e fruibili a più (non molti, non troppi) livelli. Nemo aveva, insomma, una signora sceneggiatura, quella che in massima parte mancava a Gli Incredibili (Brad Bird), che mancava del tutto a Cars (John Lasseter) e che in ri-massima parte ri-manca a Ratatouille (ri-Brad Bird). Questo scritto e diretto da Bird è un film lento e farraginoso, che rischia di annoiare a morte i più piccoli (nouvelle cuisine? Clausole testamentarie? Riflessioni metacritiche? Who cares, kids?) e di lasciare perplessi gli altri, che si ritrovano con spunti comici trascinati per le lunghe (Linguini pilotato dal Piccolo Chef) vere e proprie falle narrative (perché “il cattivo” non si limita a distruggere la lettera che lo incastra e vivere felice e contento?) e forzature tramiche dalle motivazioni indecidibili (perché quella love story?). Cosmeticamente parlando, per fondali e scenografie siamo ormai al fotorealismo digitalizzato (con mdp virtuale che si dà, infatti, al virtuosismo “classico” negli interstizi del profilmico), ma certo non basta una colonna visiva inappuntabile (a tratti stupefacente) e un paio di pur ottime idee (la visualizzazione del gusto, forse citazione “a sensi traslati” di Fantasia, l’epifania proustiana di Ego così ben descritta e interpretata da Billi) a fare un film riuscito. E intanto, nel 2008, Andrew Stanton esce dal letargo post-nèmico con Wall-E: il “mio” Ego è pronto alla prova del 9.