TRAMA
Gotham. È notte fonda, le ombre oscurano il sole e piove, per sempre. La sera di Halloween, il sindaco viene assassinato. Il killer si fa chiamare Enigmista.
RECENSIONI
Batman
È evidente quanto nella figura di Batman, in tutti i suoi adattamenti per il cinema, sequel e reboot, si celi in piena vista forse non la storia del blockbuster americano, ma certamente una storia, delle tante possibili. Che sia la più interessante e incisiva, quella capace di intercettare il presente (meglio: un presente) più di tante altre, o ancora che sia, forse, la storia capace di marcare dei punti di arrivo e ripartenza come nessun altro franchise ha saputo fare negli ultimi trent'anni, è naturalmente opinione di chi scrive, benché senza dubbio largamente condivisa e, almeno in parte, già sufficientemente canonizzata. Semplificando all'estremo, i film-evento che hanno saputo ridefinire le logiche e i confini del blockbuster supereroistico, dimostrando (e per certi versi anticipando) il fatto che l'occhio dell'autore poteva emergere in modo inequivocabile anche all'interno di produzioni ad alto budget tratte dagli eroi dei fumetti, sono stati, sempre, i film sul Cavaliere Oscuro. Questo vale ovviamente per Burton e Nolan (vera e propria nobilitazione autoriale del blockbuster del nuovo millennio, prima che la Marvel mettesse a punto la propria strategia di nobilitazione commerciale), ma vale anche per le manifestazioni più discusse e criticate, quelle bizzarre e camp di Joel Schumacher e, soprattutto, quelle estreme e astratte di Zack Snyder.
È evidente, si diceva; eppure oggi, nell'inarrestabile ed esponenziale proliferazione di immagini e contenuti, nella totale mancanza di coordinate definite, in una frammentarietà e una superficialità con la quale ci troviamo ogni minuto a fare i conti, in questo caos di informazioni che richiedono uno sguardo vigile (diciamo pure uno sguardo da detective) per essere decifrate e interpretate, ecco, in questo presente in cui la Gotham di Tim Burton, ma tutto sommato anche quella di Nolan, ci sembrano quasi un bel posto in cui vivere, che un Batman come questo di Matt Reeves sappia porsi, ancora una volta e nonostante tutto, come un momento cruciale per rilanciare il nostro rapporto con le immagini e con il cinema di intrattenimento del presente, beh, sarà anche evidente, ma mi sembra tutt'altro che scontato.
The Batman
Undicesimo film sul supereroe DC, il Batman di Matt Reeves è, incredibilmente, ancora uno sguardo altro, inedito e personalissimo sul Cavaliere Oscuro, e si concretizza in un film che, tanto per restare nell'immediato presente, è lontano anni luce sia dalle immagini seriali e de-autorializzate dell'universo Disney-Marvel che dalla grandeur rumorosissima di Snyder. Lo scarto è tutto qui: The Batman è un film che sceglie deliberatamente di ignorare tutte le convenzioni estetiche e narrative imposte dal MCU al genere supereroistico (e con le quali il DC Extended Universe ha spesso avuto un rapporto conflittuale e irrisolto: vedi Suicide Squad, la Justice League di Whedon, Aquaman, Birds of Prey, Wonder Woman 1984….), per immergere il protagonista in un mondo che appartiene piuttosto alle logiche del noir, con tutto ciò che comporta in termini di architetture narrative e, soprattutto, di dialogo politico con il presente. Insomma, per una volta non è questo o quel genere ad entrare a più riprese nel macrocosmo dei supereroi (l'heist à la Michael Mann ne Il cavaliere oscuro, il film di spionaggio in Captain America - The Winter Soldier e via dicendo), ma è il cinema dei supereroi ad aderire pienamente e senza ripensamenti al genere, a credere finalmente nel suo potere intramontabile di rimodulare senza sosta la nostra relazione con le immagini.
Ora, questa rimodulazione, ovviamente, implica sempre un rapporto con il passato, l'evocazione di fantasmi d'altri tempi. Ma se è vero che i riferimenti cui allude Reeves sono tutt'altro che velati (il Fincher di Seven in primis, ma anche Il corvo e, in generale, la costruzione di una metropoli cupa e piovosa tipica di tanto cinema di fine millennio; il montaggio alternato asincrono con cui viene messa in scena la sequenza dell'attentato in cui rimane coinvolto Alfred, che lavora sulle convenzioni del linguaggio quasi come faceva Jonathan Demme nel finale de Il silenzio degli innocenti, spostando giusto l'attenzione dal concetto di spazio a quello di tempo; il sadico discorso morale di Saw), quello che sorprende è la capacità di schivare il calco scorsesiano superficiale à la Joker (che pure aveva dei meriti importanti) e di fare proprie tali istanze, di trattarle con una sensibilità che non solo è pienamente contemporanea, ma è pure capace di riflettere in modo critico e puntuale sul presente. Insomma, Matt Reeves non si ferma certo ad una banale presa di coscienza dello slittamento, nel cinema d'intrattenimento, dal sentimento nostalgico degli anni '80 a quello dei '90 (con tanto di saghe iconiche a dettare la via in questi primi mesi dell'anno: Matrix Resurrections e Scream), ma va oltre, azzardando un approccio teorico che, a dispetto dei fantasmi, in questo contesto appare oggi come una vera e propria boccata d'aria fresca.
Ecco allora che il noir, genere dello sguardo per eccellenza, anzi, del guardare a fondo (dentro le immagini e dentro se stessi) è un mondo che permette a Reeves di ritornare sui suoi passi, di riprendere idealmente la teorizzazione dello sguardo iniziata con il capolavoro Cloverfield e di riproporla in un contesto e con obiettivi totalmente differenti. Se la soggettiva depalmiana (e quindi hitchcockiana) con cui si apre il film, ci cala immediatamente dentro gli occhi del nemico e serve a costruire fin da subito quel sostrato teorico che animerà tutto il racconto (e ancora, l'omicidio del sindaco avviene mentre lui sta osservando se stesso sullo schermo televisivo ed è sua volta osservato, nella stessa stanza, dall'Enigmista: touché), la sequenza dell'infiltrazione all'Iceberg Lounge, in cui grazie a delle lenti a contatto Batman vede letteralmente attraverso gli occhi di Selina Kyle, apre il discorso a interpretazioni decisamente più contemporanee, che vanno dal queer all'ingresso in un mondo nascosto per interposta persona, elemento essenziale del linguaggio videoludico.
Al di là del desiderio o meno di immergersi in tali elucubrazioni teoriche, c'è però una conseguenza ben più immediata ed evidente di tale scelta di campo, e che probabilmente è ciò che rende davvero grande un film come The Batman. Reeves infatti non si limita alla costruzione della pura dimensione intellettuale, ma la legittima attraverso un'opera che restituisce ai corpi e soprattutto alle immagini, un peso che oggi, in questo contesto, è sempre più raro trovare e che rivendicano prepotentemente l'assoluta oscurità della sala come unico spazio possibile. Le quasi tre ore di durata sono allora funzionali non tanto all'accumulo di elementi, alla costruzione dettagliata di personaggi o all'apertura di infinite piste narrative da sviluppare, ma rispondono semplicemente al desiderio di (ri)dare un peso e un tempo alle immagini di un genere, chiedendo allo spettatore non solo un coinvolgimento emotivo e affettivo, ma anche e soprattutto, una riattivazione della fiducia nel potere sguardo. Insomma, non è antispettacolare The Batman (il tanto celebrato inseguimento in automobile con il Pinguino è davvero straordinario), ma è certamente un film che lavora su un diverso livello di spettacolarità, non inseguendo né l'epicità del grande scontro finale, né l'ormai superato e dozzinale fascino della distruzione. Quello che cerca (e trova) è invece il potere emozionale dell'immagine, la sua dimensione corporea e viscerale, la fiducia nella maturità del linguaggio.
Conviene prendere tutto e goderne il più possibile, prima che l'inevitabile (e già annunciata) serializzazione di questo universo prenda il sopravvento e riporti il discorso su un piano eminentemente narrativo. Conviene guardare, fosse anche solo per ritrovare una flebile luce di speranza nel potere del cinema, mentre il mondo sprofonda nell'abisso.