Commedia, Sala

QUO VADO?

NazioneItalia
Anno Produzione2015
Genere
Durata86'
Interpreti
Montaggio

TRAMA

Checco ha il posto fisso, in Provincia, ma rischia di perderlo.

RECENSIONI

I film di Zalone, che poi sono di Nunziante, hanno senso solo perché c'è Zalone. E per Zalone intendo quell'attore / personaggio sgradevole, retrogrado, ignorante, meschino che toglie i peccati dell'italiano medio in virtù del fatto che fa ridere. Le sue scorrettezze politiche, l'omofobia esibita, il razzismo inconsapevole quanto radicato hanno dato vita, nei film precedenti, a sequenze comiche ciniche e stratificate, sicuramente consapevoli ma nondimeno cattive, capaci di navigare in verticale diversi livelli di lettura e di intercettare, quindi, sia lo spettatore svogliato che si ferma alla superficie sia quello più smaliziato che si crogiola (anche troppo) nelle feroci provocazioni alla South Park. La cosa è sicuramente vera nell'esordio Cado dalle nubi, come si vede nella sequenza chiave girata nel locale gay, in cui la canzone Gli uomini sessuali stigmatizza, riproducendola perfettamente, l'apertura mentale ostentata dagli omofobi/retrogradi/razzisti che non si credono tali, ma viene cantata in un locale gay cinematografato in modo veramente omofobo/retrogrado/razzista. E anche, in misura minore, in Sole a catinelle, nel quale Zalone applicava lo stesso metodo a temi come il razzismo e il mutismo selettivo. Meno, molto meno, in Che bella giornata, film più film, più strutturato nelle intenzioni ma più innocuo alla resa dei conti, con risibili accenni di impegno in salsa antiterroristica.

Quo Vado? cerca una probabile mediazione tra i due approcci, quello zaloniano più integralista, free e scalcinato (in senso buono) dell'esordio cinematografico e quello più organizzato e pensato del secondo film. Zalone, cioè, torna a tiranneggiare l'inquadratura e a sovraesporre la propria ottusità italiota ma tenta di inserirsi in una struttura drammatica appena più solida, col filo rosso del Posto Fisso, sineddoche della Prima Repubblica, a fare da ipotetico collante. Il problema principale è che la scorrettezza zaloniana appare come edulcorata, addomesticata, addirittura disinnescata. In parte, probabilmente, è il naturale risultato di una ripetizione priva di variabili, in parte sembra però di scorgere un effettivo alleggerimento (la redenzione/autoassoluzione del personaggio è più evidente che in passato) con Zalone che inizia a fare Zalone più che esserlo veramente e a sacrificare il proprio cinismo sull’altare dei tarallucci e del vino. Non aiutano una struttura drammatica che si vorrebbe più articolata ma che rimane un esile canovaccio privo di qualunque interesse (meglio nulla, davvero) né le evidenti, maggiori ambizioni 'cinematografiche' che naufragano nell'imbarazzo, a cominciare dalla prima sequenza, il movimento di macchina impossibile/digitale che dallo spazio ci tuffa in Africa, una robaccia sgranata da 3 frame al secondo, per arrivare ai cambi di location che non hanno neanche la dignità della cartolina.

Il nostro interesse per Zalone, insomma, probabilmente finisce qui, lo ringraziamo per le risate (passate) e lo salutiamo cordialmente.