TRAMA
Il giorno del suo ventisettesimo compleanno, Catherine, che ha speso i suoi anni prendendosi cura del padre Robert, genio matematico ai limiti della follia, conosce Hal, ex-allievo di Robert convinto che tra i 103 diari del matematico si celino nuove importanti scoperte. Catherine comincia a chiedersi se dal padre erediterà più il genio o più la follia.
RECENSIONI
John Madden e Gwyneth Paltrow tornano a collaborare. Dopo "Shakespeare in love" è la volta di "Proof", testo che i due hanno già portato con successo a teatro a Londra. Lo spunto è dei più classici, con un funerale che riunisce due sorelle caratterialmente agli antipodi. Il defunto è il padre, genio della matematica incapace di convivere con il proprio talento e vittima di una pazzia senza riscatto. "Un grande uomo privato della sua grandezza", come ricorda la figlia, che per accudirlo negli ultimi anni di vita ha rinunciato a una promettente carriera universitaria. Il film è tutto giocato sui conflitti familiari e sullo scontro tra le diverse psicologie dei personaggi: la razionalità della sorella maggiore, la vulnerabilità emotiva della protagonista, più l'affetto, all'apparenza non completamente disinteressato, di un giovane studente che spulciando tra gli appunti del matematico spera di trovare qualche formula innovativa e preziosa. La sceneggiatura, scritta con acume e furbizia, contrappone con efficacia il rigore dei calcoli matematici con il disordine e l'irrazionalità della vita, e il film si può definire un solido intrattenimento. Nonostante l'attenzione verso il percorso di ricerca personale della protagonista, lo sviluppo è corale, con un particolare riguardo all'approfondimento dei comprimari. La sorella maggiore, ad esempio, potrebbe essere facilmente liquidata come superficiale e antipatica, mentre è un personaggio non a senso unico: vuole bene alla sorella minore e cerca davvero di fare ciò che per lei ritiene giusto, ma è prevaricatrice e sulla base dei fatti sceglie ciò che ragionevolmente le sembra più adatto; non sempre, però, la via razionale è quella che si rivela poi la migliore. Peccato per il finale all'americana, ottimista con sfumature, in cui, comunque, la parola "fallimento" deve ancora una volta tramutarsi in "successo". Ottimi gli interpreti: Gwyneth Paltrow, su cui si regge il film, mette a frutto la sensibilità interpretativa per cui è stata fin troppo celebrata; Anthony Hopkins, nelle poche sequenze in cui appare, mostra il suo carisma senza gigioneggiare; Hope Davis è misurata in un ruolo a rischio caricatura, e il sempre più in ascesa Jake Gyllenhaal conferma di essere l'icona americana del bravo ragazzo della porta accanto in fuga dall'etichetta di nerd.
Dal discutibile John Madden PROOF si presenta come un tentativo interessante soprattutto per quello che non fa: non si perde in inutili svolazzi centrando subito il punto della questione, non ricalca le urla scomposte di un qualunque A BEAUTIFUL MIND - nonostante l'ovvia affinità - ma anzi quando innesca la comparsa spettrale lo fa al contagocce, quasi morigerato. Non si appoggia ad interpreti di grido ma trova una coppia d'attori che entra nel cuore (Hopkins-Paltrow), non si colloca sopra le righe ma infila un discorso coerente, molto parlato ed antispettacolare, che non vuole il colpo ad effetto ma solo la quadratura del cerchio (la sequenza finale). Non tutto funziona, ovvio: il ruolo di Gyllenhaal, piuttosto malscritto, è una fragile macchietta allo sbando (salvatelo: l'attore dal 'faccione dolce e sofferente' assume ufficialmente una pessima piega), alcuni snodi narrativi (la conflittuale sorellanza) pigiano il tasto dello stereotipo, la dialogistica talvolta forza la mano. Malgrado questo l'opera si impernia sull'annosa concezione della follia: un'aureola di infermità gironzola costantemente sulla protagonista, collocandola nell'indefinibile terra di mezzo (sana o schizzata?) sino a seminare il dubbio in comprimari e spettatore. Se si tira la gamba al cinque che diventa sei, allora PROOF risulta promosso senza eccessivi patemi.