TRAMA
Parigi. Sul finire degli anni Trenta Kate e Laura Barlow sono due spiritiste americane impegnate in una tournée mondiale. Le loro doti medianiche colpiscono l’importante produttore André Korben il quale vuole risollevare le sorti della sua casa cinematografica compiendo un’impresa strabiliante: impressionare sulla pellicola la presenza di uno spirito.
RECENSIONI
Rebecca Zlotowski resta per il momento l'ottima regista di un ottimo esordio, quel La Belle épine grazie al quale, nonostante gli evidenti limiti, la giovane autrice è riuscita a veicolare un'idea di cinema forte, inedita, precisa. E ad illuderci dell'avvento di un 'autore'. Di fatto, già nel successivo Grand Central, i cliché di genere (dramma sociale, western e mélo) fagocitano la bellezza di movimenti liberi e sinuosi in contesti neutri; le parole appesantiscono ulteriormente la gravità del racconto, azzerando la complessità altrimenti ricercata di personaggi stereotipati. L'ambiziosa terza opera della regista conferma lo slancio verso una dimensione poetico-narrativa 'altra', lontana dal realismo sociale trionfante e tronituante di certo cinema francese contemporaneo. L'autrice si perde nei labirintici barocchismi, ovviamente metacinematografici, di un plot mal concepito e indigesto, nonostante l'ardito assunto di partenza e la seducente bellezza di certe immagini (i titoli di testa). Zlotowski vorrebbe far convergere Storia e Fantasy in un unicum al tempo stesso proteiforme ed eterogeneo, tendando di dar forma cinematografica al concetto di fondo (il cinema come esercizio medianico di contatto con l'oltre: passato, futuro; al di qua e aldilà). Ma l'esercizio risulta pesante e faragginoso, e più che alla fluidità di un sogno ruiziano, abbiamo l'impressione di assistere ad uno strano ed incoerente delirio ombelicale, avente, come padri spirituali, nei suoi momenti migliori Jodorowsky, nei suoi momenti peggiori Tony Gatlif.