Documentario, Recensione

PER QUESTI STRETTI MORIRE

NazioneItalia
Anno Produzione2010
Durata90'

TRAMA

La storia e le opere di Alberto Maria De Agostini, missionario, esploratore e documentarista.

RECENSIONI

La cartografia del sottotitolo fa riferimento alla passione herzoghiana che ha alimentato la vita, i viaggi e le opere di padre Alberto Maria De Agostini (1883-1960), fratello del celebre editore. Con la sua inseparabile cinepresa, egli ha attraversato i luoghi della Terra del Fuoco al fine di fissare frammenti di paesaggi mai visti e di culture presto spazzate via dalla Storia. Vivendo quindi una grande contraddizione (da missionario e, indirettamente, complice della cancellazione di un popolo fagocitato dal verbo e dai deliri di onnipotenza dell’Occidente), De Agostini ci ha comunque lasciato un patrimonio di immagini di rara bellezza, oltre che le prime e ultime rappresentazioni delle popolazioni locali. Sarebbe certo stato sufficiente lasciar parlare il documento per sedurre l’occhio e la mente dello spettatore sprovveduto. Invece, la coppia Isabella Sandri e Giuseppe M. Gaudino, già coautori di Materiali a confronto. Albania-Italia 1994-2002,hanno pensato bene di fare di De Agostini una presenza fantasmatica al pari delle immagini di repertorio, che dialogano così con frammenti di fiction (i due giovani “topi da cantina” che cercano di riportare in vita il passato, fino a diventare memoria) o momenti di animazione a passo uno. La ricostruzione, purtroppo, ripetitiva e sovente stucchevole, finisce col depotenziare la forza evocativa che si sprigiona dalle immagini d’epoca, insistendo troppo sull’idea di “macchina cinema” quale soggetto vivente (quella cinepresa che deambula in permanenza) e eccedendo in metafore e simbolismi troppo marcati e frontali, con soluzioni visive che sarebbero efficaci se non venissero diluite e iterate per novantacinque minuti. Il “De Agostini-contenuto” finisce quindi col passare in secondo piano rispetto alla “forma” di Per questi stretti morire, una confezione sovraccarica e barocca, al limite dell’esercizio di stile, in piena contraddizione con la disarmante e commovente semplicità con la quale il missionario immortalava l’immensità della natura e della differenza.