
TRAMA
Tre anni dopo gli eventi del primo film, Vaiana (Moana nella versione originale) è determinata a trovare gli altri popoli che abitano le isole dell’oceano, ma dovrà fronteggiare una terribile minaccia, il malvagio dio delle tempeste Nalo e l’ambigua dea Matangi. Ad accompagnarla questa volta ci saranno vecchi e nuovi amici.
RECENSIONI
Oceania 2 rappresenta, per concezione e concepimento, un unicum nel panorama produttivo dei Walt Disney Animation Studios… e si spera che tale rimanga perché incarna quanto di più lontano esista dalla loro cultura e dal loro modus operandi. Nasce infatti come una serie-tv ad alto profilo per Disney+, la cui qualità tecnica avrebbe dovuto rispecchiare quella del film originale (fortunatamente i tempi degli odiatissimi cheapquels sono lontani). In seguito è stato rielaborato come lungometraggio per ordine del CEO Bob Iger in persona, ritornato in pompa magna in Disney dopo che il suo successore Bob Chapek, da lui stesso designato, ha perso la fiducia del board of directors. Si perdoni la digressione, che si cercherà di rendere il meno pedante possibile, ma un po' di contesto è dovuto.
Prologo
Finanziariamente parlando, il buon Bob ha le sue ragioni, dato il disastroso 2023 in cui nulla va per il verso giusto e nessuno viene risparmiato: toppano Pixar (Elemental fatica a trovare il suo pubblico), Marvel (primo grosso flop con The Marvels), Lucas Film (Indiana Jones e il quadrante del destino non riesce a ripagare il suo spropositato budget) e Walt Disney Studios (La Sirenetta a stento riesce a rifarsi delle spese, mentre Haunted Mansion viene bellamente ignorato). Ma il fronte più problematico sono i Walt Disney Animation Studios che, sotto la guida di Jennifer Lee, da tempo collezionano una serie di insuccessi al botteghino (e non solo), con l’unica eccezione di Frozen II. Riassumiamo: il COVID, qualche anno prima, fa saltare l’uscita cinematografica di Raya e l’ultimo drago e mutila gli incassi di Encanto (che però diventa virale su Disney+), mentre Strange World, film manifesto, e Wish - quest’ultimo uscito proprio nel 2023 con l’intento di celebrare il centenario della Disney- vengono addirittura osteggiati e rifiutati per via dei loro contenuti avanguardisti (e diciamo pure utopistici, fuori dai tempi). Non va incontro a un destino migliore la snobbata serie-tv animata Iwaju, prima collaborazione dei WDAS con uno studio straniero, per la precisione sud-africano, con l’obiettivo di raccontare una storia nuova, fresca, con una prospettiva diversa, ma, a conti fatti, incapace di trovare un suo target. E questo è stato il grande errore di valutazione della queen Lee: aver dato voce a degli artisti (lei stessa del resto nasce come story-artist) chiusi nei loro desideri, di cui vogliono far dono a un popolo che sogna altro. Una manovra più pragmatica è necessaria e una hit al box office è un ottimo punto di partenza, costi quel che costi.
Storia di un un colpo di genio e di una débâcle creativa
A Novembre 2023 Bob visiona il work in progess dell’ambiziosa e costosa serie/sequel di Oceania che l’altro Bob, Chapek, l’ex CEO - licenziato poco cerimoniosamente l’anno precedente per la sua aggressiva e spendacciona strategia di mercato- aveva commissionato per Disney+. Date le grosse potenzialità della storia, si opta per un’uscita cinematografica, immediatamente posizionata a novembre 2024, rimpiazzando così il Classico previsto dalla Lee per quella data, una fiaba originale ambientata in Persia. In un momento storico di pieno (ri)sentimento antislamico e con le accuse di wokismo contro la Disney, il tempismo della Lee risulta, in effetti, decisamente sbagliato. I tempi sono strettissimi ma il rischio è calcolato: Oceania (ottimo riscontro al box office del 2016 ma soprattutto straordinario successo planetario su tutte le piattaforme digitali) gode di una fanbase enorme e persino un sequel raffazzonato viene probabilmente giudicato critic-proof. I neonati studi di animazione Disney di Vancouver, creati appositamente per realizzare la serie, si ritrovano a riadattarla come film e a ri-animare completamente il tutto con l’aiuto degli animatori dello studio storico di Burbank, che cavallerescamente corrono in soccorso per non bucare la data di uscita.
Epilogo
A Settembre 2024 Jennifer Lee ripiega (o viene messa) nelle retrovie con la motivazione di volersi concentrare sulla scrittura e regia di Frozen III e IV, e le subentra il veterano produttore Disney Jared Bush. Il film esce a novembre dello stesso anno battendo numerosi record di incassi. Bob ha ottenuto la hit tanto agognata.
The -Happy (?)- End(ing)
Il motivo di tale digressione è presto detto: del film in sé sfortunatamente c’è ben poco da dire perchè è il film stesso ad avere poco da comunicare, nonostante abbia tanta trama da raccontare. Al contrario di quanto si legge in giro, Oceania 2 NON è un rimontaggio della serie che a novembre 2023 aveva ancora poco di animato e quelle poche scene completate sono state cestinate a causa delle profonde riscritture. Tuttavia l’impressione è che si sia semplicemente riassunto e compresso tutto ciò che era previsto per la tv, appiattendo tutti i nuovi personaggi (che non possono beneficiare dello screen-time che lo streaming aveva promesso loro) in semplici comparse. Si ricalca quindi la formula del primo film riprendendo la struttura episodica, inserendo nuovi (e tanti) comprimari e gag, confezionando un sequel dal ritmo frenetico alla maniera degli altri studi, poco ispirato, senza soste, praticamente un episodio televisivo di ottima fattura. Precisiamo: non che ci sia nulla di male in questo. È né più né meno quanto fa gran parte della concorrenza, solo che i sequel Disney (e Pixar in primis) sono sempre stati concepiti in modo diverso: si torna ad esplorare un universo narrativo solo quando c’è qualcosa di nuovo da raccontare, da aggiungere, assumendosi sì dei rischi, ma creativi. Ecco quindi che in Ralph Spacca-Internet si parla di relazione di co-dipendenza, in Frozen II si sconfina nel dramma epico e in Inside Out 2, pur ricalcando il primo film, si cambia setting nel mondo esterno (la partita di hockey), si introduce la nuova fan-favourite Ansia, e la storia diventa un pretesto per parlare di altro. Del resto la Pixar aveva già perfettamente padroneggiato questa ricetta nella saga di Toy Story e negli Incredibili 2.
In Oceania 2 tutto questo non avviene, nonostante le ottime premesse: la mitologia si espande, inserendo nuovi dèi vendicativi, insieme -ancora- a nuove maledizioni; ci si lancia verso il futuro laddove prima si guardava al passato: dopo aver riconsegnato al popolo la sua memoria storica, Vaiana diventa una Tautai, l'esploratrice e navigatrice leader, ed è pronta a tornare in barca per riconnettere tutti i popoli dell’Oceano divisi da un dio invidioso. Stavolta la posta in gioco è ancora più alta, perchè a casa l’aspetta la sorellina Simea, nata dopo gli eventi del primo film, che soffre per la sua assenza. Peccato che il tutto sia solo accennato, e il film si srotola senza sosta in un susseguirsi di scontri, inseguimenti, battutine e strizzate d’occhio, dimenticando il suo cuore, al punto che persino quello che su carta doveva essere un climax emozionante e commovente, risulta fuori posto, stonato. Tante sono le domande lasciate senza risposte che, si spera, arriveranno nei capitoli successivi.
Di nuovo, non si tratta di un brutto film. Diverte e intrattiene il giusto, per la gioia dei fan e dei bimbi, una perfetta baby-sitter per la home-streaming degli anni a venire. Senza contare la solita eccellente qualità tecnica, in altre occasioni dovuta, attesa e pretesa, ma in questo caso non affatto scontata, dati i tempi stretti di lavorazione, soprattutto se si considera che molti artisti degli studi di Vancouver erano alla loro prima esperienza in Disney. Le canzoni del duo Abigail Barlow e Emily Bear (tra cui spicca Beyond) sono orecchiabili nonostante scimmiottino quelle del predecessore Lin-Manuel Miranda, stavolta impegnato a scrivere le canzoni di Mufasa. I canti in lingua indigena sono ancora opera di Opetaia Foaʻi e incantevoli come quelli del primo film. Stesso discorso vale per l'attenzione ai dettagli e alla ricostruzione di usi e costumi del popolo polinesiano, per cui enorme cura è stata prestata. In conclusione è ipotizzabile che questo sequel sia un asso -letteralmente- nella manica giocato alla fine di una partita truccata, un dovutissimo e ingegnoso errore di produzione, la cui unica ragion d’essere è quella di aprire ad altrettanto dovutissimi seguiti che riescano, si spera, a costruire partendo dalle tante premesse e promesse di questo insipido secondo capitolo. Intanto l’era della regina Lee, tradita dal suo popolo, volge a conclusione e con essa le utopie di una sognatrice che, pur parlando una lingua bellissima, non è riuscita a farsi capire dalla contemporaneità.
Long live the queen

«Non sono una principessa»
(Vaiana, Oceania 2)
Disney, abbiamo un problema? Sono anni, ormai, che il tema torna alla ribalta in maniera cristallina all’interno dei lavori sfornati dalla Casa del Topo: il botteghino ringrazia, il pubblico però è scontento. Questo ossimoro, questa dicotomia è la frizione più irrisolvibile (e per questo motivo identitaria) del mainstream contemporaneo. Oceania 2 ne è l’ennesima prova. Da quando il mercato dell’intrattenimento si è fatto prepotentemente crossmediale, da quando il Covid ha sparigliato le carte in tavola, da quando la bulimia fagocitante delle acquisizioni di altri brand ha smaterializzato e scorporato l’anima della major, da quando il multiverso tanto caro alle linee narrative di Marvel si è repentinamente concretizzato nei piani progettuali dello showbusiness, è stato difficile per chiunque non solo restare fedeli al proprio spirito, ma metterlo a fuoco, circoscriverlo. Così, nel momento in cui Vaiana, all’interno di questo sequel a lei dedicato, afferma a pieni polmoni di non essere una principessa, la Disney sta facendo coming out. Il re, o meglio, la regina è nuda. Per anni, per decadi, il marchio più famoso al mondo ha contribuito a scolpire un immaginario, ha ottenuto successo creando consenso. Ora invece annaspa stancamente, non tiene il passo di questi frenetici tempi, non ha più la spinta necessaria per inserirsi trasversalmente in un mercato impossibile da interpretare e quindi preferisce seguire le masse, inseguire i gusti, concedersi alle onde di un mare magnum (un Oceano, in questo caso) in cui il naufragar è tutt’altro che dolce. Vaiana non è una principessa. Non lo è da un punto di vista narrativo, né tanto meno da un punto di vista drammaturgico. L’eroina in questione è il simbolo di un disorientamento che suona come un segnale d’allarme. Oceania è l’ultimo, in ordine cronologico, classico di casa Disney, ma trova il buio delle sale cinematografiche dopo aver subito una turbolenta gestazione che lo voleva inizialmente sviluppato come una serie televisiva. Sarebbe infatti dovuto essere uno spin-off a episodi, destinato allo streaming, la “vera” casa del successo di questa saga (Oceania risale al 2016, ma solamente grazie all’arrivo di Disney+ la pellicola ha trovato via via sempre più consenso e apprezzamento negli occhi e nel cuore delle famiglie di tutto il mondo). Invece, probabilmente dopo gli insuccesso di critica e pubblico inanellati con Strange World – Un mondo misterioso (2022) e Wish (2023), l’usato garantito aveva il gusto impalpabile ma vitale dell’ossigeno. Così, ossessionata dall’ibrido quale simbolo di un equilibrio sano e in grado di includere chiunque (grandi e piccini, uomini e donne, innovazione e tradizione), Disney lavora in maniera camaleontica anche su questa materia, prendendo in prestito e ringraziando la base costruita quasi dieci anni fa dai senatori Ron Clements e John Musker per poi affidarla a tre innesti esordienti in cabina di regia. Il pasticcio è pressoché servito: continuiamo con l’assenza degli antagonisti, ma senza una valida idea narrativa per supplire la lacuna; inseriamo le irrinunciabili canzoni, ma lavorandoci pigramente con l’orecchio sinistro; pensiamo al dio marketing e ai numerosi gadget che dovranno invadere le abitazioni di tutto il mondo, ma limitandoci al minimo sforzo per il massimo risultato, con personaggi co-primari facilmente dimenticabili e dal potenziale inespresso (su tutti, la sorellina della protagonista e il capo dei kakamora). Tutta questa contraddizione interna, simbolicamente, viene condensata nel personaggio di Oceano. Se nel primo film, l’elemento marino diventava un co-primario a tutti gli effetti (secondo la coerente poetica dei già citati Clements e Musker che da sempre lavorano in maniera attenta sull’ambientazione – si vedano soprattutto i casi di La sirenetta (1989) e Il pianeta del tesoro (2002) – rendendola parte integrante non solo dei singoli frame ma anche della struttura narrativa), qui lo si limita a puro fondale, passando quindi da un’esperienza avvolgente e innovativa a una visione bidimensionale e canonica. Non ci si tuffa in Oceania 2, non si cavalca nessuna onda, non ci si bagna nemmeno un po’ e non si perde mai la rotta. L’esplorazione è assente, tutto è limpido all’orizzonte: calma piatta. Oceano si risveglia solamente in un paio di momenti che, pensa un po’, lo riguardano in prima persona. Nella sequenza della tempesta e nell’incontro tra Vaiana e la balena, infatti, Oceania 2 fa sussultare eccome. Sono attimi che restano, realizzati con un’animazione potente, compatta, illuminante (letteralmente). Sembra di assistere alla messa in abisso delle immagini predicata da James Cameron in Avatar – La via dell’acqua (2022). In questi passaggi, forme, musica e colori sono finalizzati a se stessi e donano al film un grande motivo di vanto. Quando i personaggi vengono avvolti dal mare, quando lo abitano e quando si abbandonano al suo imprevisto, al suo ritmo, alle sue onde, Oceania 2 ci ricorda e si ricorda cosa vuol dire fare cinema. L’animazione (quella mainstream si intende) è ancora in grado di abbagliare, di stregare, di spingere il pubblico con la testa sott’acqua imponendo di trattenere il fiato. Sono solamente pixel digitali, stringhe di codici alfanumerici che trasmettono informazioni binarie alla retina dei nostri occhi. Eppure si tratta di uno spettacolo tecnologico sempre teso al progresso, a quell’evoluzione creativa che sarebbe giusto abbracciare una volta per tutte, abbandonando l’ingombrante e pachidermico passato per trovare il coraggio di esplorare nuovi mondi. Vaiana non è una principessa, ne è consapevole e infatti si spinge verso l’avventura, accoglie il richiamo dell’esplorazione innato dentro di sé. Speriamo che possa essere di ispirazione anche per la stessa Disney, da troppo tempo, ormai, sempre più pigra e intenta solo a indagare il proprio ombelico.
