
TRAMA
Ricca signora romana rovinata dalla morte del marito, Alice si trasferisce col figlio in periferia e inizia a fare la escort.
RECENSIONI
L’attore Massimiliano Bruno esordisce alla regia con un tentativo di medio cinema italiano. Sceneggiato insieme a Fausto Brizzi ed Edoardo Maria Falcone, Nessuno mi può giudicare è intavolato come un confronto tra ambienti e caratteri bagnato in toni da commedia (ma non si parli di commedia all’italiana). Dal punto di vista sociale, Alice (Paola Cortellesi) passa faticosamente dai quartieri alti a quelli periferici di Roma, con il filo conduttore del dialetto che risulta accentuato nel secondo caso; sul piano caratteriale, l’interazione e conflitto tra personaggi è dato dal rapporto di quest’ultima con il bestiario umano di periferia (il tenebroso, la coatta, il fascista, l’obeso ecc.). Alla fine del percorso, la donna accetta la nuova vita esattamente come il partner Giulio (Raoul Bova) accetterà la possibilità di fare l’escort per vivere. In entrambi casi si gioca per la stessa meta: guai a giudicare il prossimo e lode a chi rispetta le differenze, unica strada per sviluppare l’integrazione. Il Diverso viene accolto e diventa simile a noi. Una parabola, dunque.
In tale struttura fondante, con furbizia, affiorano rimandi che linkano all’attualità: ovviamente l’essere escort ma anche – leggermente più sottotraccia – il tema dei nuovi italiani, ovvero i migranti, il rapporto con i cittadini autoctoni e il fiorire della seconda generazione (il ragazzo nero che canta L’italiano di Cutugno). Il regista manovra le ragioni del film con mano invisibile segnalando, tra l’altro, il pregio di mantenere tutti i discorsi nell’alveo comico, senza prendersi sul serio, sciogliendo nella risata anche i temi più ovvi. Così viene allontanata la lieve ambiguità che si forma sulla figura della escort: un lavoro come un altro? E’ lecito farsi prezzolare dai politici? Non importa, in questo caso fa solo ridere. Esaurita la particolarità tematica, però, la pellicola si limita a innescare il pilota automatico della commedia: scatta un lungo meccanismo di identificazioni e sorprese (il riconoscimento del cliente sadomaso), con corredo di rovesciamenti di ruoli (il domestico/amico) e schermaglie in rosa. E se alcune trovate possono dirsi riuscite, soprattutto le sequenze che sfidano coraggiosamente trash e ridicolo (i titoli fake di film porno, l’allucinante cameo di Fausto Leali), è l’insieme a non funzionare mai pienamente: sempre poco coeso, troppo episodico, ostinatamente incollato ai messaggi che intende veicolare.
Viste le premesse, fondamentali gli attori: Paola Cortellesi trasferisce la straordinaria mimica dal piccolo al grande schermo; se conferma la medesima tenuta scenica, dall'altra parte non 'evolve', nulla aggiunge alle sue note caratteristiche. Raoul Bova nella seconda parte più drammatica perde la minima ironia che lo giustificava e non dà segni di vita. Ruoli più o meno da caratteristi per tutti gli altri. Insomma, questo Nessuno mi può giudicare si colloca lecitamente nell'Italia del significato: dove bisogna dire tutto, non c'è spazio per il sottinteso, basta una semplice e lineare parabola dimostrativa per conquistare il successo al botteghino. Questo è ciò che abbiamo, ma altrettanto lecito è continuare a chiedere altro.
