TRAMA
Il Paradiso rischia l’estinzione: occorre segnare un’inversione di tendenza, salvando l’anima di un pugile in declino. La missione è affidata a Lola, uno dei migliori angeli sulla piazza, ma la concorrenza non tarda a metterle alle costole un agente altrettanto “tosto”…
RECENSIONI
Il Cielo (una Parigi in bianco e seppia, immacolata e deserta) non può più attendere: i nuovi acquisti sono sempre più rari (e invariabilmente “raccomandati” da preghiere), e l’anno rischia di chiudersi in passivo. All’Inferno (rovente, sporco e sovrappopolato come uno stadio o un fast food) le cose non vanno meglio: complicati giochi di potere tentano di polverizzare l’attuale consiglio d’amministrazione. Sarà meglio rivedere le rispettive strategie terrene. Mister Big (titolo di un racconto di Woody Allen) è invisibile e inavvicinabile (come Salinger), e i Suoi dipendenti devono occuparsi del lavoro sporco, tenendo a freno la concorrenza, mai così agguerrita. L’oltretomba ha l’organizzazione di una qualunque azienda (non troppo diversa dal supermercato in cui lavorano le due “messaggere”), i dirigenti sono afflitti da debolezze e meschinità fin troppo umane, domina l’economia di mercato: gli inviati delle due imprese concorrenti (angeli e demoni che s’insinuano con impercettibili menzogne nella vita quotidiana) devono convincere i potenziali (e mortali) clienti a sottoscrivere una sorta di polizza assicurativa post mortem. Come? Creando problemi o risolvendoli, soddisfacendo bisogni o provocando nuovi desideri impossibili da soddisfare: ma la professionalità artigianale degli agenti paradisiaci e diabolici corre il rischio di essere cancellata dall’invasione della pubblicità mediatica e della banalità politica, idre fameliche di cui persino uno dei più stretti collaboratori di Lucifero ha paura.
Il secondo film di Agustín Díaz Yanes (il primo distribuito in Italia) è una commedia sofisticata in piena regola, rispettosa del codice Hays (immagini insolentemente caste e dialoghi crudelmente allusivi) e delle convenzioni di genere (ritmo ossessivamente binario incluso), mascherata da spy story metafisica (intrighi e imprevedibili alleanze, doppi giochi e almeno due colpi di scena a sequenza). Le venature pulp non intaccano l’anima classicamente noir dell’opera, immersa in un’atmosfera deliziosamente rétro che non scade mai in un pedante citazionismo, ma gioca coi luoghi culturali (non solo cinematografici) e le sentenze filosofiche mantenendo una leggerezza perfettamente calibrata. La trama è complessa fino a risultare infernale, il dialogo splende di battute che stregano e annotazioni che avvincono (il principio dell’incertezza, ossia l’eterna attrazione, non soltanto spirituale e ancora una volta “doppia”, fra Bene e Male), e le diluite stecche drammatiche del prefinale si perdonano volentieri. Film di regia sussurrata e sorniona (divertiti piani sequenza, colpi bassi magistrali e frammenti di autentico sogno, come il numero nel night) e di attori incantevoli: Gael García Bernal è un demonio bogartiano e trasandato, perfetto accanto alla paradisiaca manager di Fanny Ardant; Demián Bichir ha la faccia giusta e il piglio perennemente “sbagliato”, e l’effetto comico è irresistibile. Ma sono le primedonne, ovviamente, a guidare il gioco: Victoria Abril ha talento e fascino sufficienti a far rivivere le divine del grande schermo, e la fotografia di Paco Femenia sa sottolineare (in)attese affinità con Marlene, Greta, Rita; Penélope Cruz si sbarazza di ogni residuo di purezza più o meno virginale e tratteggia un diavolo ironico e intraprendente, sexy e spietato (con esilarante sorpresa finale), fornendo la prova migliore della sua carriera.