Fantasy, Recensione

MOONACRE – I SEGRETI DELL’ULTIMA LUNA

Titolo OriginaleThe Secret of Moonacre
NazioneGran Bretagna/Ungheria/Francia
Anno Produzione2008
Genere
Durata103'
Tratto dadal romanzo The Little White Horse di Elizabeth Goudge
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Rimasta orfana, una ragazzina è costretta ad andare a vivere insieme alla sua istitutrice nel maniero di uno scorbutico zio. La dimora di Moonacre si rivela però piena di segreti.

RECENSIONI

Ormai regista specializzato nel genere, Csupo gira una favola fantasy concepita più per i bambini che per un pubblico trasversale. Si è parlato molto del fatto che l'opera letteraria da cui il film è tratto è una delle preferite di J. K. Rowling e le è stata di ispirazione per il suo Harry Potter. In realtà, oltre alle analogie con le vicende del maghetto, è inevitabile notare come il fulcro della trama di Moonacre sia l'avidità umana, quella sete di potere che induce gli uomini a dividersi e dimenticare i legami. Qui a scatenarla sono delle perle, ma tutto sembra ricordare, in modo semplificato e rozzo, un celebre anello del potere che ha fatto grande il fantasy. Altro elemento cardine è l'orgoglio degli uomini, che li allontana e rovina le loro vite. Una storia che ruota quindi intorno ad un chiaro messaggio 'educativo', senza però approfondirlo o renderlo efficace per mezzo di metafore veramente felici. Alcune circostanze risultano addirittura incomprensibili, affidate a spiegazioni confuse e raffazzonate. Si aggiungano, per fare veramente 'favola', il romanticismo di una storia d'amore spezzata e ritrovata, tra due amanti appartenenti a famiglie rivali, e la tipica situazione dell'orfana che si confronta con una nuova vita, come da copione affidata ad un parente dal carattere apparentemente difficile (senza però percorso di crescita e di formazione: la protagonista non si evolve perché nasce già più in gamba di Candy Candy e pienamente sicura di sé). Un po' poco, come materiale narrativo.
L'inizio fiabesco è la parte più riuscita e concede persino un po' di stupore ed il fascino di qualche situazione magico-misteriosa. Poi il copione mostra tutta la sua debolezza. L'azione convince a metà, la parte brillante è affidata a personaggi sbagliati (l'istitutrice e il cuoco): alcune gag che dovrebbero risultare comiche sono solo goffe e sciocche. Il finale, poi, è pasticcione e stolido. Moonacre - probabilmente per questioni di puro budget - sceglie di affidarsi a pochi effetti speciali, puntando di più sull'immaginazione (le onde che diventano cavalli bianchi però tutti ricordano di averle già viste). In questo aiutano molto la splendida ambientazione, i bei costumi, la fotografia suggestiva. La debolezza è proprio nella materia narrativa e nella sceneggiatura, non nella povertà degli effetti speciali rispetto a quelli cui il pubblico è ormai abituato in un'era tecnologica che tanto si è applicata al genere fantasy. Un altro imperdonabile errore è comunque di casting: aver scelto come protagonista la ragazzina (ormai preadolescente) che già contribuì ad affondare il ben più ambizioso kolossal La bussola d'oro grazie alla sua innata antipatia (per chi non l'avesse vista all'opera basti immaginare una giovinetta supponente che induce immediatamente a tifare per i cattivi). Cast di 'seconde file' da film dai mezzi e le prospettive limitate: Ioan Gruffud, faccia simpatica e una carriera che non è mai decollata davvero, nemmeno con il ruolo di Mister Fantastic ne I fantastici 4, e Natascha McElhone, che meriterebbe di più dai tempi in cui Carrey se ne innamorava in The Truman show.

Ennesimo “Cronache di…” (con la stessa protagonista de La Bussola d’Oro) tratto da un libro per l’infanzia, nella fattispecie di Elizabeth Goudge (“Il cavallino bianco”, 1946), già trasposto in una miniserie Tv inglese del 1994. Non gli rende certo merito questa produzione ai limiti del “parrocchiale”, con fantasy(ia) in giardino, stile Spiderwick e Inkheart, e modi da Le Cronache di Narnia, cioè con una messinscena incapace di far volare l’immaginazione e pensare, figurativamente, in grande, come hanno saputo fare Harry Potter e Il Signore degli Anelli. Gabor Csupo, animatore proveniente dall’Ungheria (dove si gira), è passato alla regia live-action con Un Ponte per Terabithia, di cui replica certe scelte/necessità/stilemi: una fotografia naturalistica poco adatta al fantasy (non crea la giusta atmosfera), pochi effetti speciali dettati dal basso budget, lodevole concentrazione sul racconto in sé ma con ramificazioni del plot troppo basic. Nell’opera citata, per lo meno, era altro l’obiettivo: un delicato ritratto di rapporto d’infanzia; qui la storia dovrebbe fare la parte del leone fra principesse della Luna, maledizioni e apparizioni animali alla C.S. Lewis, ma la sceneggiatura è inetta nella descrizione dei personaggi affidata ai soli stereotipi, non sa creare un dialogo che vada al di là della sussistenza dell’impalcatura, non sa inventare una sola scena capace di destare l’attenzione (tranne l’ultima, dove la principessa si getta in mare). Unita alla messinscena povera (in tutti i sensi) di Csupo, che ha per mano anche attori mediocri (eccezione fatta per il solito Tim Curry), l’effetto è ultra-piatto.