Bellico, Recensione

MONUMENTS MEN

Titolo OriginaleMonuments Men
NazioneGermania/ U.S.A.
Anno Produzione2014
Genere
Durata118'
Tratto dadal libro “Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia” di Robert M. Edsel (con Bret Witter)
Scenografia

TRAMA

Un improbabile plotone di esperti d’arte, reclutato dall’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, viene spedito in Germania per salvare capolavori artistici dalle mani dei Nazisti e restituirle ai legittimi proprietari. Da una storia vera.

RECENSIONI

Narra la leggenda, più che altro la campagna promozionale, che durante uno scalo aereo tra i tanti George Clooney sia incappato nel romanzo “Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia” di Robert M. Edsel (con Bret Witter) e ne sia rimasto folgorato. In effetti il soggetto è quanto mai brillante. Partendo da una storia vera (il reclutamento di una squadra di critici ed esperti d’arte durante la seconda Guerra Mondiale per recuperare opere trafugate dai nazisti), arriva a riconoscere il potere universale dell’arte per connotare l’anima di un popolo. Sembra che gli ordini del Führer fossero di distruggere tutti i preziosi cimeli accumulati in caso di sconfitta con l’idea di cancellare, insieme alla bellezza, anche il passato di una cultura, e quindi l’identità di intere generazioni. Un modo sottile per annullarne l’esistenza.

I presupposti sono quindi di un’azione simil-bellica abbinata a un messaggio forte e chiaro. La leggenda si tramuta in realtà attraverso un film, il quinto da regista, che Clooney, probabilmente con coscienza, vira in commedia (già nelle sue corde con In amore niente regole). Non solo avventura, perciò, ma anche momenti comici per sdrammatizzare. Forte di questa idea, recluta un cast all star con tendenza al piacione (lui incluso, ovviamente). Il problema di fondo, però, è proprio la mancanza di coesione tra l’atmosfera scanzonata, dominante, e le pretese drammatiche di alcuni snodi. Tanto che si arriva ai punti più seriosi e dal presunto carico emotivo senza la necessaria preparazione, perlomeno narrativa. E lo spiazzamento non aggiunge intensità, ma si limita a stridere.

La sceneggiatura, sempre di Clooney insieme al fido Grant Heslov, procede attraverso sequenze che assumono così la cadenza di gag, ma la ricerca della risata contribuisce a creare un distacco via via crescente che prende la forma di una pericolosa indifferenza. Non aiuta l’assenza di ritmo che in più occasioni fiacca l’azione. Se poi si aggiungono un alto tasso di retorica e patriottismo, una colonna sonora a tratti ridondante e un messaggio spiegato a mo’ di lezione in classe, il fallimento sembrerebbe pressoché totale. In realtà il film è piacevole, la confezione solida, e il cast funziona a dovere (basta vedere come fuma una sigaretta Cate Blanchett per ribadirne il carisma). Date le premesse e il tenore dei talenti coinvolti, però, era decisamente lecito attendersi di più.

L’unico limite della quinta regia di George Clooney è il medesimo che si pone nel guardare, come ama, al passato, alle regole e strutture rigide di certi classici hollywoodiani. I modelli dichiarati sono John Sturges, I Guerrieri di Brian G. Hutton ed Il Treno di John Frankenheimer che era ispirato all’autobiografia di Rose Valland, qui interpretata da Cate Blanchett: ma andrebbe ricordato anche Ardenne ’44: un Inferno di Sydney Pollack, altro film sul secondo conflitto mondiale con le ragioni dell’arte, della memoria e della guerra. Nel replicarli alla perfezione, la pellicola è egregia, ordinaria solo sul versante Quella Sporca Dozzina (sarebbe meglio dire Ocean’s Eleven), ovvero nella gestione della coralità del commando: non tutti i caratteri hanno lo spazio auspicabile o sono disegnati a tutto tondo. È riuscito il dosaggio dei registri, la coesistenza di elementi buffi con una drammaticità di fondo che amalgama il momento tragico, contribuendo alla memoria storica sulle vittime del nazismo (opere d’arte comprese) con un presupposto originale (basato su di un libro dello storico Robert M. Edsel: fotostatiche dei veri Monuments men sui titoli di coda). C’è pure il coraggio di portare avanti, pur nei codici leggeri di genere, una riflessione non scontata sul valore dell’Arte: fino a che punto vale la pena morire per un capolavoro? La tesi è che, se le generazioni passano/muoiono ma verranno rimpiazzate, la cultura e l’arte dell’umanità, se distrutte, non torneranno più. Scanzonato, d’azione e d’amicizia virile, epico e kolossale nella ricostruzione storica che viaggia per tutta Europa, il film omaggia con sincerità doverosa l’opera “minore” di questi prodi.