TRAMA
In una sontuosa dimora inglese il ricco patriarca Aristides Leonides viene misteriosamente assassinato. Sua nipote affida ad un giovane detective privato, sua ex fiamma, il compito di scoprire la verità.
RECENSIONI
Giallo e bon ton
Il romanzo di partenza si intitolava È un problema, uno dei preferiti dalla stessa Agatha Christie, oggi non tra i suoi titoli più noti, anche perché non ancora portato al cinema. Sceneggiatore incaricato dell’adattamento è Julian Fellowes, uno dei re delle trasposizioni letterarie in costume, soprattutto grazie alla fama raggiunta da Downton Abbey. Il soggetto, per fortuna, qui gli impedisce di dilatare gli spunti rosa, mentre il minutaggio preserva dai giri a vuoto. Siamo di fronte ad un giallo della Christie meno iconico di altri, senza Poirot né Miss Marple, ma pur sempre ambientato nell’Inghilterra degli anni Cinquanta, in una grande magione variamente abitata. Gli ingredienti dei grandi gialli letterari della prima metà del Novecento ci sono tutti: veleno, doppi testamenti, iniezioni e scambio di fiale, matrimoni d’interesse, patrimoni di famiglia contesi e mal gestiti. E soprattutto, rancori, invidie, gelosie, fallimenti e aspirazioni non realizzate che generano acredine. Un quadro in cui tutti sono sospettabili e devono essere sospettati. Nell’ufficio malmesso e negli abiti del giovane investigatore troviamo persino un’ombra del classici noir dell’epoca. Il film di Parquet-Brenner punta molto sulle atmosfere, come provano la cura dei dettagli, i colori espressionisti, le musiche, i costumi. Un’astrazione dal presente per immergere con decisione nella dimensione narrata. Ogni membro della famiglia, pur vivendo nella stessa grande dimora, ha appartamenti completamente diversi da quelli degli altri, a rappresentare il suo mondo a sé, irrimediabilmente separato - un grande lavoro di scenografia premiato dal risultato. L’antica magione, al contrario, unifica l’azione ed il contesto, trasportando perfettamente nello spirito dell’opera. L’entrata in scena di Glenn Close tra gli spari annuncia la violenza come elemento costitutivo della casa. Si parla, come spesso nei casi di omicidio, di personalità straripanti, che si sentono in diritto di schiacciare e decidere la sorte del prossimo, soprattutto di coloro che ritengono stupidi e deboli. Il tratto più diffuso nella casa corrotta è l’egoismo, astio e disumanità come risultato dell’affetto non ricevuto (così è anche per “the murderer”). La pellicola si dispiega seminando moventi e sospetti, giocando con la sgradevolezza dei più e le debolezze di pochi per innescare il meccanismo efficace della curiosità dello spettatore, predisponendo qualche salto sulla sedia nei momenti giusti, depistando. Come in ogni thriller che si rispetti, insomma, sfuggendo alla superficialità, eppure senza il tempo per approfondire.
Su grande schermo le figure protagoniste risultano, volutamente, più teatrali che su carta, ed anche alcune interpretazioni sopra le righe. Il grottesco che ne consegue non è propriamente nello stile della Christie e, pur scelta legittima, rischia di indebolire un po’ la forza del dramma. D’altra parte ne smorza i toni più cupi, in una panoramica di rapporti umani altrimenti desolante. Rimangono alcuni degli elementi cardine - e dei limiti - di romanzi della scrittrice, come la presentazione dei personaggi un po’ pedante, per metodici interrogatori più o meno informali. E’ anche quasi inevitabile, per buona parte del film, fare confusione tra i tanti personaggi con i loro incroci parentali - figli, cognati, seconde nozze e così via. L’azione è allora vivacizzata da qualche flash back, per raccontare i giorni della passione tra la nipote della vittima e l’investigatore, presso l’ambasciata del Cairo. Manca il classico confronto conclusivo, sostituito da un finale d’azione, più cinematografico, ma la scena corale è anticipata da una velenosissima cena. L’epilogo soddisfa abbastanza e dimostra un certo coraggio. I crismi sono comunque rispettati, il viaggio nel tempo, per quasi due ore, riesce. In un cast corale, i due protagonisti poco noti, rispetto agli attori che li circondano, non sfigurano (figlio d’arte Max Irons, reduce dalla televisione Christina Hendricks). Glenn Close, guardata subito con sospetto (di solito l’assassino viene interpretato dall’attore più famoso), ruba un po’ la scena, ma più sui cartelloni che nella sostanza del film. La Christie, al cinema, mancava da troppo tempo. Un giallo classico vecchia maniera, anche. Per fortuna, se tutto va bene, è in arrivo anche un nuovo Assassinio sull’Oriente Express.