TRAMA
Ethan Hunt e la sua squadra vengono accusati ingiustamente di un attentato terroristico al Cremlino. Sconfessati da tutti, devono trovare il modo di riscattarsi e, già che ci sono, di salvare il mondo da una minaccia nucleare.
RECENSIONI
Dopo due (ottimi) episodi dei Simpson, incentrati entrambi sulla figura di Krusty, Bird aveva mostrato buone capacità anche come long distance runner (Il gigante di ferro) per poi farsi risucchiare nell’universo Pixar con risultati – per chi scrive – altalenanti. Gli incredibili viveva di assunto iniziale, atmosfere 60’s e grande perizia tecnica, Ratatouille pure, ma senza atmosfere 60’s. Entrambi soffrivano sceneggiature (dello stesso Bird) farraginose e complessivamente malfunzionanti, benché dotate di sporadici guizzi. La sola cosa certa è che Brad Bird si era mostrato capace di navigare il profilmico digitale con ottimo senso dello spettacolo (specie in Ratatouille) e di riappropriarsi di generi classici per virarli al parodico senza snaturarli (la seconda parte de Gli Incredibili, satura di azione bondiana e gadget tecnologici). Forse questi due indizi hanno convinto Tom Cruise ad affidare proprio a Brad Bird il quarto capitolo di quella che è diventata, ormai, la sua autogestita epopea attoriale personale. Bird dimostra quantomeno di avere le idee chiare: con i dovuti alleggerimenti commediologici del caso, è il primo episodio di De Palma il riferimento teorico più esplicito. Dopo il prologo nella prigione, riuscito più sulla carta che nei fatti, la sequenza con protagonista Josh Holloway (il Sawyer di Lost, probabile omaggio a JJ Abrams, produttore qui, autore/produttore dell'ottimo quasi-reboot M:I3), viene poi 'riutilizzata' in modo filologicamente depalmiano - ossia - come luogo filmico sul quale tornare a indagare, in cerca di una verità ulteriore rispetto a quella mostrata inizialmente (la rivelazione dello 'scanner a contatto'). Torna l'uso suspense-orio del silenzio, come elemento (a)sonoro da condividere al di là e al di qua dello schermo (la sequenza del trompe l'il digitale - e metaschermico - al Cremlino). Torna, sempre a proposito di referenze depalmiane, l'utilizzo sovraesposto dello specifico filmico, come la sequenza del doppio scambio dei codici con doppio inganno, tutta giocata sul montaggio alternato. Tornano elementi volutamente naif/vintage, come il travestimento carnevalesco e la maschere di lattice. E tornano citazioni letterali del primo M:I, da omaggiare nei suoi tratti iconici - ormai - mitici (i tuffi nel vuoto a volo d'angelo stoppati a pochi centimetri dalla rovina).
Brad Bird fa tutto questo dannatamente bene, con piglio “cinefilo” in tutte le possibili accezioni del termine (anche quelle più etimologiche). Di suo ci mette una cartoonesca voglia di scherzare, sia a livello di script (battute e dialoghi – non sempre così – brillanti) ma soprattutto a livello visivo, con continua compenetrazione tra azione classica e sua reintepretazione slapstick (la salita sul treno in corsa, tra pali da evitare e retine da scannerizzare “al volo”) e lo stesso universo M:I portato al parossismo (marchingegni improbabili per tutte le occasioni, ipertecnologiche postazioni IMF letteralmente ovunque). E Brad Bird fa molto bene anche il grado zero del lavoro registico puro, con una gestione del live action che, di fatto, era tutta da dimostrare ma che ora “ha dimostrato” alla grande. Tutta la sezione di Dubai, in particolare, è meritevolissima per inventiva, senso del ritmo e spettacolarità pura (immaginiamo le vertigini dei fortunati spettatori IMAX). Ma ci sono anche dei ma. Benché stavolta non sia Bird lo sceneggiatore, e quindi possiamo propriamente parlare di corresponsabilità, questo Ghost Protocol, al pari de Gli Incredibili e di Ratatouille, finisce per sovradimensionarsi nel minutaggio e, quindi, per sfilacciarsi. Di fatto, dopo la citata, metronomica sezione dubaiana si sarebbe già sazi ma il destino vuole che manchi ancora mezzora. Troppa roba. Specie se quello che viene dopo è un more of the same decisamente in minore, con un semplice cambio di location esotica (India) e una virata ancora più decisa verso la commedia, non sorretta da una scrittura veramente degna. L’adescamento del playboy si adagia su déjà vu abbastanza tri(s)ti, la nuova trovata Hi-Tech si trasforma rapidamente in scherzo tirato per le lunghe (la tutina magnetica) e l’interesse per gli sviluppi beceramente narrativi (che sono quelli che sono), non sorretto da una sovrastruttura entertainment funzionante, cola a picco in maniera vertiginosa. Ma basta stringere i denti e il film giunge all’epilogo, dovutamente (iper)romantico e, altrettanto dovutamente, arricchito da vecchie conoscenze (Ving Rhames) che fanno un gran bene al family feeling. Dopo il mezzo passo falso di Innocenti Bugie, che partiva bene ma finiva per sbilanciarsi verso la mal dissimulata esaltazione di se stesso, Cruise ha comunque trovato un nuovo, positivo capitolo della sua auto/agio/biografia. Non che la cosa ci interessi granché, ma se può tornare utile per ottenere un buon action movie come questo, e una saga definitivamente recuperata dopo la deleteria parentesi Woo, Tom ha tutto il nostro appoggio.