Fantasy, Horror, Recensione

MISS PEREGRINE

Titolo OriginaleMiss Peregrine's Home for Peculiar Children
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2016
Durata127'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo omonimo di Ransom Riggs
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Quando l’amato nonno lascia a Jake indizi su un mistero che attraversa mondi e tempi alternativi, il ragazzo si ritroverà in un luogo magico noto come La casa per bambini speciali di Miss Peregrine.

RECENSIONI

C’è stato un tempo in cui Tim Burton aveva sul tavolo da gioco tutte le carte dell’autorialità e perse la partita proprio sul (potenzialmente) più bello, quando gli capitò fra le mani una Regina di Cuori. L’occasione di Alice in Wonderland era un magnifico rischio –Carrol, si sa, è materia vivida e delirante, contiene l’inquietudine e la ricchezza di un pozzo senza fondo-, Burton vi investì tutto il proprio immaginario che, col tempo, era diventato un baraccone di fantasia, bizzarria, disadattamento, circo, il pacchetto trucco-costumi-fotografia, sua moglie (ora ex) e Johnny Depp. Quell’universo oscuro e variopinto, l’esibizione funambolesca dell’horror che soggiaceva a una malinconica tenerezza, la voce insieme scricchiolante e canora degli emarginati e la loro ingenuità presa alla lettera con tutte le conseguenze del caso (si pensi a un bellissimo classico: Nightmare Before Christmas), quei sentimenti fragili e a loro modo poetici, stavano già scomparendo dietro la solidità di un merchandise sempre più compatto e preponderante, quello per cui l’aggettivo “burtoniano” veniva ormai prima di Burton e non era (o non era più) un complimento. La domanda, a questo punto, è: che cosa ce ne facciamo della poetica del bambino emarginato che è venuto alla luce con le sue piccole creature incapacitate rendendole amabili fino a svenderle al punto che quasi nessuno le sopportava più e che, finiti i (bian)conigli da estrarre dal cilindro, si rilancia nel semi-anonimato di una young-adult novel come altre cento quale Miss Peregrine e la casa dei ragazzi speciali? Purtroppo, niente.

Questi ragazzi speciali non sono più orfani di quanto lo sia il film stesso di un sguardo autoriale e non sono più speciali di quanto l'eufemismo ne celi il disadattamento nel pathos letterario di una formula risaputa: niente di nuovo, niente che non sapessimo già. In 'compenso', un autocitazionismo insieme discreto ma superfluo, riconoscibile ma inefficace, inserito in un impianto classico fin quasi alla neutralità e affiancato da ulteriori richiami a film, testi e contesti già noti: la metafora del loop temporale che riavvolge eternamente un singolo giorno dell'anno 1943 in fuga dai mostri-alter ego nazista, riassume un'irrisolta e dolorosa eredità psicologica della II guerra mondiale che è stata affrontata come dialogo fra mondo reale e mondo di fantasia nell'ottimo Il Labirinto del Fauno -gli 'Hollows', i V'acui', del film sono un incrocio fra il mostro senza occhi di quest'ultimo e Jack Skeleton, di cui indossano una versione lacerata del noto costume gessato-; il bambino schivo e insicuro nel mondo reale che scopre di avere dei poteri in un altro mondo come eredità famigliare taciuta è un piccolo Harry Potter; Miss Peregrine ricalca la figura dell'istitutrice severa e amorevole insieme, di buona tradizione inglese e ha dalla sua, almeno, la bellezza di una Eva Green, giovane nei tratti e attempata nei modi, che funziona. Invece dal catalogo burtoniano, oltre al già citato Jack simil-Jack Skeleton, abbiamo: un Samuel L Jackson allampanato che ricorda il Christopher Walken di Sleepy Hollow, il tema dell'emarginato 'speciale', quello circense di Big Fish, ancora di quest’ultimo è la trama del racconto come eredità spirituale e percorso di formazione che mescola realtà e fantasia, le derive dark innestate nel fantasy, una parentesi sci-fi che ricorda Mars Attacks!, ma che è in realtà citazione evidente e tributo al Ray Harryhousen de Gli Argonauti (come del resto molte scene di Mars Attacks! omaggiavano appunto il citato maestro del passo a uno). Sul piano delle maestranze tecniche, la fotografia di Bruno Delbonnel (già con Tim Burton per Dark Shadows e Big Eyes e reduce niente meno che del Sokurov di Francofonia e Faust) aggiunge un tocco vago e fiabesco soprattutto nelle penombre e nei toni azzurri delle immagini subacquee. E’ forse proprio la vacuità, insieme al pallore aereo e acquatico del blu, a dare un tocco di grazia poetica a un film ridondante e risaputo: i mostri sono detti “Vacui”, Miss Peregrine è un falco pellegrino blu, la ragazza “speciale” Emma Bloom (Ella Purnell) interagisce con l’aria, soffia bolle che spazzano l’acqua, veste scarpe pesanti per non volare via metaforizzando la sospensione fra realtà e immaginazione, e indossa un abito azzurro che, insieme ai capelli biondi, la accomunano ad Alice (la tonalità blue Alice è la stessa scelta dalla costumista Colleen Atwood già nel citato Alice in Wonderland di Burton e nel suo seguito di James Bobin, Alice attraverso lo Specchio e alla recensione di quest’ultimo si rimanda per un approfondimento su questa tonalità “speciale” che deriva da un’altra storia e da un’altra Alice, realmente esistita). Infine, abbiamo gli occhi blu del protagonista Asa Butterfield nei panni di Jake, personaggio che, a parte l’efficace scena dell’agnizione finale che rompe l’inganno gemellare e rende effettivo il “potere” del ragazzo contro il mostro, è in generale così sottotono da far quasi dimenticare che quelli sono gli stessi occhi di Hugo Cabret, ma manca il Martin Scorsese che li fa brillare, manca il cinema. Resta il mainstream di genere. Però firmato Tim Burton.

Da tempo Tim Burton, tranne rare eccezioni (più in singole scene che per singoli film), ha smesso di essere sorprendente o un minimo disturbante, accontentandosi di dare forma, in brand, al suo riconoscibilissimo universo gotico/horror/fantasy per famiglie. Opere sempre messe in scena con ineccepibili gusto, eleganza e dosaggio dei differenti registri (commedia e sentimento compresi): funzionano, quindi, a patto che il testo di partenza o il suo adattamento siano validi. Non è questo il caso: la sceneggiatura di Jane Goldman (Kick-Ass e Stardust per Matthew Vaughn) traspone con varianti il romanzo best seller (2011, con due seguiti) di Ransom Riggs, un young adult che frulla idee ormai abusate, dai “mutanti” clandestini al Ricomincio da Capo. Vige il riciclaggio o l’autocitazione anche nelle idee figurative/creative di Burton, fra bambole mostruose a passo uno (che richiamano Edward Mani di Forbice come il cespuglio a forma di T-rex) e Vacui simili al Jack Skellington di Nightmare Before Christmas. Ben venga, invece, richiamare Eva Green dopo Dark Shadows, cui affida un ruolo da Mary Poppins dark, mentre Rupert Everett è irriconoscibile e il villain di Samuel L. Jackson talmente buffonesco/simpatico da rasentare l’inverosimile (perché non contrasta i suoi nemici). Funzionano certe evoluzioni del racconto (i macabri Vacui alla caccia degli occhi dei bambini, l’esperimento per essere immortali, le custodi che si trasformano in uccelli) e ci sono almeno due scene degne di nota, quella in cui la ragazza con il potere dell’aria crea una bolla di ossigeno all’interno di un relitto navale inabissato (fino a sollevarlo: la nave fantasma) e quella, deliziosa per dinamiche e ironia, al Luna Park con gli scheletri di Ray Harryausen che combattono i mostri resi visibili dalle palle da neve. La parte conclusiva riporta alla mente che Burton, nelle ultime opere, è più convincente nel porre misteriose premesse che soddisfacenti chiusure, perdendo il ritmo della drammaturgia per chiudere più in fretta.