TRAMA
Vedovi, pensionati, maturi single, vittime del dissesto finanziario: per tutti la soluzione può essere la delocalizzazione della terza età, dall’Inghilterra al “The Best Exotic Marigold Hotel”, India.
RECENSIONI
Si sa che il cinema britannico è capace di offrire al pubblico cast di livello sorprendente, ma Marigold Hotel riunisce effettivamente in un'unica pellicola un numero impressionante di mostri sacri, di quelli la cui partecipazione straordinaria di dieci minuti normalmente basta da sola a nobilitare un titolo. Questo film schiera senza misura Tom Wilkinson, Ronald Pickup, Penelope Wilton, Celia Imrie, ma soprattuto Maggie Smith e Judy Dench, e concede il giusto spazio a ciascuno. Peccato che, a parte questo, Marigold Hotel possa contare solo su una suggestione esotica, sulla carineria dei buoni sentimenti, sulle carezze date dal soggetto ai temi della solitudine, della morte, dell'importanza di saper accettare e valorizzare ogni fase della vita, vecchiaia compresa. Ma se al centro della scena non ci fossero figure tanto cinematograficamente autorevoli difficilmente presteremmo loro attenzione anche solo per la metà dei ben 124 minuti di pellicola. Perché i nodi vengono al pettine in fretta e la superficialità assoluta del trattamento emerge spietata. L'India del film è il solito cliché (uno dei paesi peggio messi a fuoco dal cinema contemporaneo), la storiella parallela tra il giovane gestore dell'albergo-casa di riposo (Dev Patel, reduce da The millionaire) ed una ragazza cui non sarebbe destinato per nascita e che non ha il coraggio di difendere davanti all'ottusa madre è indigeribile. Ma si sa che l'India è di moda e che da sempre l'esotismo delle ambientazioni è sembrato a molti elemento sufficiente a sostenere una storia. Questi settantenni sono tutti irrimediabilmente monodimensionali e poco interessanti: la donna matura e sola ridicolmente a caccia di un marito facoltoso, la vedova sensibile e riservata (anche voce narrante dalle tirate banali), l'omosessuale che vuole rivedere prima di morire l'uomo amato decenni prima e perduto per mancanza di coraggio (risibile il loro ritrovarsi come se nulla fosse), la coppia mal assortita con moglie arpia e marito gentile e succube, l'anziana razzista e misantropa (ma capace di repentina riabilitazione). Trovatelle da impegno minimo, capacità di penetrare le difficoltà dell'età matura abbastanza scarsa. Poche le risate, pochissime le sorprese - ridotte all'iniziale "chi finirà con chi?". Il finale è poi stucchevolissimo, tra scioglimenti miracolosi ed inverosimili (la moglie lascia libero il marito al momento giusto, l'anziana scorbutica prende in mano la gestione dell'hotel, il finanziatore si convince, la madre diventa improvvisamente comprensiva in virtù di un passato che aveva misteriosamente dimenticato). L'amore trionfa e la vita sorride, mentre le coppie di ogni età avanzano in motorino teneramente abbracciate nell'esotica Jaipur. A confermare la morale più volte ripetuta: "C'è sempre un lieto fine. E se non c'è è perché non è ancora la fine". Ma se era una favola, l'impostazione doveva essere completamente diversa.
