Drammatico, Recensione

MAGNOLIA

TRAMA

Los Angeles. Varie esistenze s’intrecciano lungo questa metropoli: dal maschilista guru televisivo, al miliardario morente con la moglie ormai in pieno esaurimento nervoso, al piccolo genio dei quiz che dovrà vedersela con un vecchio presentatore affetto da cancro, ad un poliziotto che si ritroverà a scoprire l’amore di una cocainomane, e tante altre vicende che s’intrecciano nella città degli angeli.

RECENSIONI

La sensazione e' quella di trovarsi davanti a un'opera d'arte in cui il cinema diventa espressione di un disagio, di un bisogno di comunicare, di un tentativo di raccontare storie, nemmeno tanto originali, con uno stile personale. Il rischio, non piccolo, e' quello di non riuscire a controllare i tanti spunti che gli incroci del destino tendono all'umanita', che subisce, scalpita, rimpiange, soffre, muore, sotto al cielo, democraticamente uguale per tutti, della California del Sud. La visione del film passa attraverso alcuni percorsi che non sempre si uniformano tra loro. FISICAMENTE, nonostante le tre ore, il film si guarda con interesse, anche se nella parte finale, in cui alcuni epiloghi sono gia' ampiamente scontati, qualche cedimento lo si subisce. RAZIONALMENTE, alcune delle vite in cui si entra per una giornata paiono gia' viste e spremute in altri film, e certi passaggi risultano un po' didascalici nel voler sottolineare per forza la solitudine e il vuoto in cui annaspa l'umanita' descritta. EMOTIVAMENTE, pero', e qui il cinema svela la sua natura magica ed evocativa, sono molti i momenti spiazzanti. Alcuni risultano solo originali trovate, ma altri colpiscono piu' nel profondo. Penso alla reazione di Julianne Moore davanti all'invadenza del commesso in farmacia, all'intervista al fallocrate guru Tom Cruise o all'incalzante sequenza centrale, in cui la terribile trasmissione televisiva "What do kids know" fa da collante alle diverse microstorie. Discorso a parte per l'aspetto sonoro che incide in misura rilevante sull'impatto emotivo del film, con l'unione di musiche diverse per una stessa scena e con volumi in stridente contrasto, che ora disturbano, ora favoriscono l'immedesimazione con personaggi e situazioni. Un film quindi controverso, complesso e, grazie al cielo, di difficile catalogazione.

Dopo la biografia non ufficiale di Mr. 30cm. di "boogie nights", Anderson ci riprova con questo ambizioso film corale un po' Altman ("nashville", "short cuts") e un po' Kasdan ("grand canyon"). Diremo subito che Paul Thomas Anderson si conferma un giovane nome da non perdere d'occhio, diremo altrettanto subito che il suo "magnolia" è un bellissimo, imperfettissimo film. L'affresco di storie, drammi, tragedie, fragili vite umane è sostanzialmente riuscito e per tre ore si respira un'atmosfera quasi epica di ineluttabilità del fato, ci si taglia e si sanguina con le schegge di esistenza che corrono sullo schermo, ci si appassiona e si ammira il talento di un regista che sa cos'è il cinema e che mostra di amarlo a ogni pie' (fotogramma) sospinto. Non tutto, però, gli riesce e non tutti i "protagonisti" sono delineati con uguale bontà di risultati. Verso metà film si ha come l'impressione di perdere le fila del discorso e sembra che la delicata materia Umana sfugga di mano al suo demiurgo, la/le storia/e iniziano a girare un po' a vuoto e si rimane in fiduciosa (e ripagata) attesa di un ritorno al disordinato ordine iniziale. A questo va aggiunto il fatto che, come si diceva poc'anzi, non tutti gli splendidi "esemplari umani" che popolano la pellicola sono ugualmente splendidi e non tutte le vicende hanno lo stesso spessore: se già il personaggio di Tom Cruise (più volenteroso che bravo), quel Frank Mackey guru del machismo e della misoginia, appare francamente grottesco e smaccatamente caricaturale, è soprattutto il "frammento" del bambino prodigio a lasciare interdetti; Rick Spector (il padre, interpretato da Michael Bowen) è davvero troppo freddo, cattivo e spietato per non risultare fastidioso e il piccolo Stan una vittima altrettanto "netta" e priva di sfumature…oltretutto, anche la storia del "padre insensibile che sfrutta il figlio bisognoso d'affetto" è davvero risaputa e inutilmente esplicitata nell' "arringa" nella quale lo stesso Stan si lancia in diretta tv. Sono però difetti, questi, che si perdonano volentieri a un vulcano di idee che ha l'ardire di mettere tanta carne al fuoco e che è stato comunque capace di costruire con tanta maestria uno splendido mosaico così vivo, pulsante, con (quasi) tutti i tasselli al loro posto. Molto bello nonostante tutto.

Anderson ha fatto della drammaturgia corale, ad incastri e pessimista di America Oggi la propria cifra stilistica cardinale: dopo Boogie Nights torna ad intrecciare i racconti alla ricerca delle coincidenze che non sono tali, di un senso del tragico a venire che svolta verso la speranza solo dopo che i nodi sono arrivati al pettine, anche in modo tragico. Lo fa con un andamento a contrazioni irregolari, che alterna l'accumulo frenetico di montaggio veloce, movimenti di macchina da presa e overdubbing, all'intensità di uno sguardo ripreso a camera fissa o all'armonico fluire di un elaborato piano sequenza (i corridoi nella stazione televisiva). Se, nell'opera precedente, il cinema (porno) non faceva solo da tessuto connettivo ma arrivava ad essere il fulcro di un apologo nostalgico, qui l'onnipresenza di un nuovo medium (la televisione) rimane sullo sfondo rispetto allo studio sull'essere umano, disperato, avido, traditore, egoista, ferito, impossibilitato ad amare. La radice di tutti i mali Anderson la rinviene nei rapporti problematici fra padri e figli e, in un crescendo dove i giochi di finzione crollano e l'Apocalisse s'avvicina, auspica meno menzogne e più sentimenti a nudo, accomuna i cuori affranti in un canto remissivo (la canzone di Aimee Mann), non può far altro (con un geniale espediente narrativo "biblico", che avvicina il dolore al trascendente) che sommergerli con le rane dal cielo per scuoterli dal torpore dell'odio e del rimpianto. Complici di tale presa di coscienza sono il senso della morte e due buoni samaritani (il poliziotto e l'infermiere), atti a rigenerare la magnolia (un fiore dai petali intrecciati, ma anche una strada della San Fernando Valley) dell'esistenza con il perdono. Un'opera (Orso d'oro a Berlino) più colma di disperazione che disperata, più stratificata che complessa, più moralistica che morale: i racconti si sfiorano in modo affascinante anche se, presi singolarmente, denunciano punte di retorica e ovvietà. Impagabile Cruise ed il suo "guru maschilista del sesso".