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TRAMA
Un alieno (Brad Dourif) proveniente da un pianeta sommerso dall’acqua, The Wild Blue Yonder (“il Selvaggio Azzurro Lassù”), è reduce dalla missione fallimentare di integrare la propria comunità con i terrestri. A nostra insaputa, per decenni questi alieni hanno visitato il pianeta per tentare di integrarsi con noi, ma senza riuscirci. L’alieno racconta di un gruppo di astronauti che sta orbitando attorno alla terra in una navicella spaziale ma non possono far ritorno, in quanto il nostro pianeta è diventato inabitabile a causa di una guerra mondiale, della diffusione di una malattia incontrollabile, delle radiazioni dovute alla scomparsa dello strato di ozono nell’atmosfera.
RECENSIONI
The Wild Blue Yonder (“il Selvaggio Azzurro Lassù”) è il nome del pianeta sommerso dall’acqua dal quale proviene l’alieno dalle sembianze umane protagonista del film di Herzog, Brad Douriff, uno degli internati di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Rivolgendosi direttamente allo spettatore, racconta la propria storia, il fallimento del tentativo fatto dai suoi compagni di stabilire un rapporto con i terrestri ed il viaggio suicida di questi ultimi verso il suo pianeta, alla ricerca di nuove risorse da poter sfruttare, visto l’esaurimento delle scorte sul pianeta Terra. Il regista utilizza filmati della NASA e li “rifunzionalizza” creando uno straniante corto circuito interpretativo: il pianeta misterioso che visitano gli astronauti non è altro che il fondale marino al di sotto del ghiaccio del nostro circolo polare. Splendida riflessione in forma di “poema fantascientifico” sul “bello naturale” violato dall’uomo, The Wild Blue Yonder è anche una straordinaria “prova” del potere del cinema di manipolare il reale e di modificarne il significato, piegandolo alle proprie esigenze e di come sia possibile lanciare un segnale d’allarme e dire “più del vero” passando attraverso la falsificazione e risemantizzazione, glorificare la natura minacciata mediante la “riscoperta” delle bellezze non corrotte, intatte, del nostro pianeta. Sorprendono, come sempre nell’Herzog documentarista, le azzeccatissime scelte musicali (i canti sacri del coro di Orosei).