Drammatico, Recensione

CUORE DI VETRO

Titolo OriginaleHerz aus glas
NazioneGermania
Anno Produzione1976
Durata104’

TRAMA

Baviera, primo Ottocento: la follia si diffonde per il villaggio, il senso della Fine impera. L’unico che poteva salvarli con il vetro color rosso, è morto.

RECENSIONI

Splendido inizio da Fata Morgana, con sguardi sull’eccezionalità del documento naturale. Intanto, la voce fuori campo del guardiano della foresta presagisce la fine del mondo dell’uomo, auspicando una sua rinascita. Herzog prende spunto da una leggenda bavarese e, al suono medievale delle note dei Popol Vuh, racconta l’apocalisse causata dagli uomini che distruggono ogni cosa (suo tema ricorrente, in cui contrappone visioni oniriche della natura incontaminata). Ma non è il gigante della favola il nemico: la pazzia che circola nel villaggio è innata, la fine ineluttabile, il salvifico vetro rosso-rubino una fantasia da “signori” (non manca la lotta di classe: il nobile stile De Sade pensa a sé e alle proprie fabbriche, il profeta annuncia la rivolta dei poveri contro i ricchi). Per inscenare, far esperire tale follia, Herzog, attraverso estenuanti silenzi e passaggi statici, inventa una recitazione “drogata” per il suo cast di non-professionisti (pare che, prima delle riprese, li costringesse a sedute ipnotiche), vale a dire una differente declinazione dello straniamento brechtiano, mentre opta per una drammaturgia anarchica, frammentaria, antispettacolare e antilineare, rendendo il tutto ermeticamente enigmatico, trasportando lo spettatore su di un piano astratto, spirituale. Accarezza, però, le immagini con una meravigliosa fotografia calda, del colore del fuoco che forgia il cuore di vetro, cioè privo di crepe (la prima crepa è il peccato originale): lo possiede l’uomo che si isola, che non ha bisogno dei suoi simili. Il finale di speranza è ingannevole (l’inizio di un nuovo mondo), il pessimismo nasce dalla circolarità: la sete di conoscenza riporta l’essere umano sulla stessa strada che l’ha distrutto. Si rinasce per ri-morire, come tutto nasce e muore nell’ordine superiore della Natura. Cinema sotto l’effetto del LSD, psichedelico in modo colto, non tanto metaforico quanto intento a trasportare la coscienza altrove, in una dimensione non algebrica. Cinema snervante perché ambiguo, spiacevole perché difficile, ostico perché volutamente oscuro. Cinema con immagini e sensazioni che provengono da un altro pianeta.