TRAMA
Dopo la resa del generale Lee, O’Meara, colmo d’odio verso i nordisti, va in Oregon, in territorio Sioux. È salvato da una squaw dopo la prova della corsa della freccia, la sposa e si unisce alla tribù per combattere i visi pallidi.
RECENSIONI
Scritto, prodotto e diretto da Samuel Fuller: nel bene e nel male, una summa del suo cinema. La magnifica prima scena fa comprendere perché la nouvelle vague lo chiamasse “il primitivo”, scovando in lui i germi del cinema moderno: senza dialoghi, palesa la barbarie della guerra e l’assurdità delle azioni dell’essere umano, nel momento in cui tenta di uccidere i propri simili per depredarli e, poi, ci ripensa ponendo rimedio al danno procurato. Rod Steiger, con una recitazione invero sopra le righe, interpreta un personaggio talmente colmo d’avversione verso i vincitori da rinnegare la propria razza: il percorso della sceneggiatura di Fuller per fargli cambiare idea è tortuoso come il modo in cui il protagonista supera la prova della corsa della freccia (la tortura del titolo italiano non esiste). Fuller porta a compimento i principi morali dell’apologo anche imboccando i personaggi, dalla madre di O’Meara che fa propaganda per Lincoln e l’Unione, al geniere di Brian Keith che elenca al protagonista le storture del Sud, alla squaw che, con dolcezza, continua a ripetergli che non sarà mai un Sioux. È originale, però, il tema del ribelle indomito alla ricerca di simili con cui condividere l’odio (se O’Meara lamenta l’imposizione dei valori del Nord, i nativi americani hanno da rivendicare ancor di più). Agli eroi tutti d’un pezzo, Fuller preferisce i protagonisti tormentati e restituisce con rispetto usi e costumi dei pellerossa (ruoli principali affidati a bianchi, ma i figuranti sono tutti nativi), rimarcando che le mele marce non hanno razza e, purtroppo, a volte decidono le sorti di tutti. Non giudica i Sioux nemmeno di fronte alla ferocia delle loro usanze (scuoiare un uomo vivo): questione di cultura. Originali anche l’idea di osservare i soldati durante la costruzione di un forte e la circolarità della figura del tenente che, per quanto sfuggito alla morte all’inizio, è riportato dal Destino nelle mani del suo aguzzino.
