
TRAMA
Valeria è una ragazza chiusa e solitaria. Vive a Torino dove lavora come interprete. Non ha un compagno, ma condivide l’appartamento con la coetanea Sonia. Attraverso le finestre del suo appartamento spia la vita di Massimo. Quando il vicino decide di trasferirsi a Roma per lavoro, nell’esistenza di Valeria tutto sembra, di colpo, precipitare.
RECENSIONI
Il piacere di osservare, di contemplare, di perdersi in un dettaglio, sono sensazioni che chi ama il cinema conosce molto bene. È davvero una magia, infatti, potersi sedere su una poltrona per fissare uno schermo che si accende di vite altrui in rapido fluire. Un viaggio catartico alle radici dell'inconscio che contrappone alla completa immobilità fisica un benefico flusso di emozioni. Questa inclinazione naturale, il cui grado di intensità è ovviamente soggettivo, può sfociare nel patologico quando l'osservare si sostituisce al vivere. È quello che accade alla giovane protagonista del debutto cinematografico di Paolo Franchi. Valeria, infatti, è bella e intelligente, ma vittima di una stasi emotiva paralizzante che le impedisce di dare concretezza ai suoi desideri, tramutando in introversione la sua natura più intima. Si riempie delle vite altrui e scruta con morbosa curiosità Massimo, il quarantenne dirimpettaio, anch'egli single e dall'aria sognante e malinconica. Quando lui si trasferisce a Roma per lavoro, Valeria non può fare altro che seguirlo, insinuandosi da spettatrice nella sua vita affettiva. L'esordiente Franchi parte da uno spunto non particolarmente originale ("La finestra di fronte"), anche nei possibili sviluppi thriller ("Attrazione fatale", "Inserzione pericolosa"), per adottare un punto di vista personale e comunicativo. L'innesto dei personaggi non è dei più felici e sfiora lo stereotipo (lui che beve birra in casa da solo, lei sdraiata sul letto che lo guarda, la compagna di stanza solare e ciarliera, qualche coincidenza di troppo) poi la storia e i personaggi crescono gradualmente con l'entrata in scena di Flavia, la compagna di Massimo. Immagini curate, fotografate con gusto e montate con fluidità, trasmettono efficacemente la distanza tra l'apparenza dei personaggi ed il loro effettivo sentire. Tutto è sussurrato, gli eventi si succedono nella pacatezza, non ci sono scene madri, eppure alla fine del film il destino dei tre protagonisti avrà subito una svolta, se non altro a livello di consapevolezza personale. Una storia del genere non stonerebbe nella campagna inglese, tra pizzi e merletti dell'epoca vittoriana. L'ambientazione attuale è una boccata d'ossigeno rispetto alle vite vincenti esibite con sfacciataggine da copertine di rotocalchi e televisione spazzatura, e risulta un buon compromesso tra l'ovatta della fiction e ciò che invece capita di incontrare e sperimentare nel quotidiano. Senza clamori, urla, inutili grevità o virate narrative a perpendicolo, ma con sensibilità. Gli interpreti sono tutti ben diretti e a loro agio: è forte la presenza scenica di Barbora Bobulova, che riesce a non cadere nei clichè del disagio psichico e costruisce in modo credibile un personaggio difficile e sfaccettato come Valeria; Andrea Renzi può apparire monolitico ed è invece bravo nel contrarre le emozioni di Massimo senza prevaricarlo e Brigitte Catillon ha l'occhio pungente della primadonna, perfetta nella sicurezza ostentata con cui amplifica la sua maschera di infelicità (è doppiata da Licia Maglietta, che non avrebbe sfigurato nel ruolo). Speriamo che la distribuzione non boicotti il film e lo faccia vivere nelle sale abbastanza a lungo da crescere con il passaparola.
