Documentario, Sala

LA MEMORIA DELL’ACQUA

Titolo OriginaleEl botón de nácar
NazioneFrancia/ Spagna/ Cile/ Svizzera
Anno Produzione2015
Durata82'
Fotografia

TRAMA

Da un parallelepipedo di quarzo, che contiene al suo interno dell’acqua che risale a millenni fa, si prendono le mosse per riflettere sull’elemento liquido che sta alla base della vita nell’universo e che consente di parlare della storia passata e più recente del Cile.

RECENSIONI


«Credevano che il mare avrebbe custodito il segreto del loro crimine». A parlare è Patricio Guzmán, che, come in Nostalgia de la luz (2010), in voice-over compone un'orazione civile per raccontare il suo Paese. Un'urgenza costante del suo percorso registico che ha toccato probabilmente il punto più alto con la realizzazione di La Batalla de Chile, la lucha de un pueblo sin armas - pellicola monumentale di 272 minuti, in bianco e nero, divisa in tre parti: La insurreción de la burguesía (1975), El Golpe de Estado (1976) e El poder popular (1979) – dove il regista ha documentato, nello stesso tempo in cui avvenivano i fatti, le rivendicazioni sociali e l’ultimo anno del governo di Salvador Allende fino all'instaurazione della dittatura di Pinochet.
Con il suo cinema Guzmán, proprio come gli aborigeni cileni di cui racconta in La memoria dell'acqua - che dipingevano sui lori corpi disegni assomiglianti a mappe astrali -, sta cercando di mettere in connessione il contingente con l'inconscio cosmico: «Osservando le stelle fui attratto dall'importanza dell'acqua. Sembra che l'acqua provenga dallo spazio e che la vita sia arrivata qui attraverso le comete che crearono i mari. L'acqua, il confine più lungo del Cile, forma un estuario chiamato Patagonia occidentale. Qui la Cordigliera delle Ande scompare nell'acqua e riemerge sotto forma di migliaia di isole. È un luogo senza tempo, un arcipelago di pioggia...».
Un gesto registico mosso da afflato cosmogonico, scosso da una tensione di ascendenza kantiana: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza» (Kant, Critica della ragion pratica).


Lo stream of consciousness di libere associazioni e la visione procedono lungo questo incessante stravolgimento prospettico: dal dettaglio (come quello di un bottone rimasto attaccato a una traversina usata per appesantire e far scomparire, nelle acque dell'oceano, i corpi degli oppositori politici al regime militare di Pinochet) alle infinite vedute oltremondane, spaziali, nelle quali è possibile scorgere i movimenti fuggitivi, le luccicanze o le vampe tese e velocissime, brucianti, di malickiana memoria. È tutto un fluire, un'eco di riverberi, dove i fuochi delle guerre degli umani si riflettono nelle combustioni delle dinamo stellari («io mi riconosco in una connessione non [...] semplicemente accidentale, ma universale e necessaria»).
Kant parla di una determinazione che «non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito», a «una grandezza interminabile, con mondi e mondi, [...] e poi ancora ai tempi illimitati», e così  Guzmán, come trascende dal piccolo all'infinitamente grande (il film si apre sul dettaglio di un blocco di quarzo di 3000 anni fa contenente una goccia d'acqua, per poi passare, nel giro di poche inquadrature, a contemplare gli interminati spazi celesti), mette in relazione, attraverso sovrimpressioni e dissolvenze incrociate, lo scorrere dell'acqua con le immagini di chi nel passato - remoto e recente – a quell'elemento ha legato per sempre la propria vita.