TRAMA
La bella Christina sembra felice di essere single, e di pensare solo a divertirsi con le sue amiche, tra discoteche e rapporti “usa e getta”. L’amore sembra una malattia ormai sconfitta, ma basta un incontro fortuito una sera con Peter, e la dolcezza sembra diventare indispensabile.
RECENSIONI
L’intento de “La cosa più dolce” è quello di creare un genere di commedia nuova attraverso il depauperamento dei contenuti e delle forme delle commedie sentimentali giovanili. Nuova nel senso di assolutamente non sentimentale (scordatevi le nevrosi di Woody Allen e Kirstei Alley), e nuova nel senso di risolutamente non simpatica (Cameron Diaz non è simpatica nel senso che è una maschera di se stessa (“Tutti pazzi per Mary”), né possiede il carisma di Ben Stiller o Meg Ryan). L’ironia de “La cosa più dolce” sta proprio nella mancanza di dolcezza. In un mondo dove “Quello che vogliono le donne” è la forma comunicativa commerciale più diffusa (spot), e “Quello che le ragazze non dicono” è il contenuto più parlato (Friends) e mostrato (Sex and The City), l’unico modo per svecchiare il genere è il superamento degli stereotipi attraverso l’azzeramento di questi in se stessi, e l’utilizzo del sesso (di entrambi) nel senso più corporale (triviale) e meno erotico del termine. Per fare questo è stato sufficiente al regista Roger Kumble rinunciare alla scrittura (“Cruel intention”), e affidare il compito alla vena sboccata e surreale di Nancy Pimental (“South Park”). La commedia sexy giovanile di Roger Kumble non ha più una forma entro cui essere agita: è un road movie demenziale (“The road trip”) ma in versione femminile (e non femminista), è un film a tema ma abbandona il concetto dell’ossessione maschile all’amplesso (“American Pie”) per sostituirlo con l’ossessione femminile della paura dell’innamoramento, non si concentra più su splendidi corpi di fanciulle e sulla scurrile brutalità dei maschi, ma utilizza tre splendide fanciulle (Cameron Diaz, Christina Applegate, Selma Blair) con la capacità di esprimersi di Alvaro Vitali. Da una parte, il film sostituisce la trama con una successione di episodi-gag (quella del matrimonio, quella del bagno degli uomini, quella del viaggio tra due amiche, quella del balletto sexy da video clip), che restituiscono (finalmente) alla comicità verbale-pecoreccia la forma della barzelletta sconcia, appiattendo il format cristallizzato della peripezia amorosa al ruolo di semplice (e trascurabile) cornice. Dall’altra parte, la scrittura di Nancy Pimental si concentra su una vera e propria “macellazione” del corpo maschile e femminile. La seduzione dei corpi erotici è “decostruita” e ridotta ai singoli dettagli: troppo grosso il pene, cascanti o rifatte le tette, mollicce le braccia. In questa comicità tutta fisica l’unica novità è l’utilizzo del corpo femminile come oggetto di derisione fisica, e non più solo come oggetto di soddisfazione sessuale. Certo la regia in questo genere di film è a livello televisivo, la coerenza è subissata dalle parolacce e dalle gag “sessuali”, ma qui l’unica cosa che conta, dopotutto, sono solo le risate. E l’ironia de “La cosa più dolce” è anche parodia. Parodia dell’ironia più convenzionale e finta delle cosiddette commedie sentimentali (“Il mio grosso grasso matrimonio greco”), ma a nche parodia di un certo repertorio giovanilistico alla mtv. E in questo è la più (s)corretta di quelle viste negli ultimi tempi: perché restituisce al desiderio sessuale il sesso (senza finta dolcezza), e ai corpi femminili la capacità di attirare la simpatia (senza sculettamenti da video-clip).
