TRAMA
La nave cargo “MV Rozen” sta per entrare nel porto, quando viene assaltata e sequestrata da pirati nell’Oceano Indiano. Tra gli uomini a bordo ci sono il cuoco della nave, Mikkel, e l’ingegnere Jan, che assieme al resto dell’equipaggio vengono presi in ostaggio in un cinico gioco di vita e di morte. Con la richiesta di riscatto di milioni di dollari, si innesca un dramma psicologico tra la compagnia di navigazione e i pirati somali.
RECENSIONI
Tobias Lindholm, affermato artista danese (oltre che regista è sceneggiatore), racconta con uno stile a metà strada tra la fiction televisiva e il dogma, la drammatica storia del rapimento di una nave danese da parte di pirati somali nell’Oceano Indiano. Un approccio antispettacolare per un film che l’industria hollywoodiana avrebbe trasformato in un action e che nelle mani di Lindholm diventa invece un thriller da camera, girato quasi tutto in interni. Si contrappongono i gelidi uffici della compagnia di navigazione ai soffocanti interni della nave dove l’equipaggio è tenuto prigioniero. Pochi, di conseguenza, gli esterni e veri e propri momenti di evasione, sia per i personaggi che per lo spettatore, sottoposto a una tensione crescente costruita con abilità e giocata tutta sul confronto tra quelli che diventano i due protagonisti: il cuoco della nave, stremato dalla privazione a cui è sottoposto e logorato dal timore di non poter più abbracciare la moglie e la figlioletta, che viene scelto dai pirati per comunicare con la terraferma, e l’amministratore delegato della compagnia di navigazione che, con l’aiuto di un negoziatore, prova a patteggiare per ottenere la liberazione degli ostaggi. Una contrapposizione che diventa serrata nel momento in cui un accordo risolutore sembra impossibile da raggiungere.
L’episodio, di fantasia, è ispirato al sequestro di due navi danesi (“Danica White” e “Cec Future”) nel 2007 e 2008, episodio che ha molto colpito il regista anche perché figlio di un marinaio. È probabilmente l’assenza di un budget consistente a imporre scelte anti-spettacolari, ma Lindholm sfrutta questo limite al meglio trasformandolo in opportunità. L’empatia con i personaggi cresce progressivamente attraverso i silenzi, gli sguardi, il nervosismo, il protrarsi degli eventi per mesi che obbliga l’equipaggio a privazioni sfibranti e l’amministratore delegato a responsabilità sempre più pesanti. Ottimo, al riguardo, l’utilizzo del fuori scena che priva lo spettatore delle stesse informazioni che mancano ai due protagonisti. Limitare l’azione a due soli spazi, inoltre, permette di ingigantire gli interrogativi, valorizzando i detti e caricando di significato i non detti, aumentando di conseguenza la carica emotiva della vicenda. La tragedia è nell’aria fin da subito, ma l’impossibilità di connotare il film in un genere lo rende oggetto imprevedibile, anche per questo apprezzabile.
