
TRAMA
Nato prematuro, Jack soffre d’invecchiamento precoce: a dieci anni ne dimostra quaranta. È duro il primo giorno di scuola (di vita).
RECENSIONI
Il cuore e lo sguardo del film sono quelli di un bambino: ne percepiamo l’indole, il bisogno d'affetto, d'essere allo stesso tempo allievo e maestro di se stesso. L'involucro, invece, è fuorviante: vecchio in quanto accademico, non allineato alle proprie pulsioni sotterranee. Jack (ancora un Robin Williams con la sindrome di Peter Pan) riesce a squarciare i pregiudizi, gli stereotipi, l'artificiosità dei ruoli prestabiliti. Coppola no, il suo film muore da bruco e da stella fissa (non cadente), anziché uscire allo scoperto e "vivere" le contraddizioni, le problematiche, le gioie, le ingiustizie (leggi: le sfumature, i chiaroscuri). Preferisce chiudersi e giocare in “casa", con tutti gli stereotipi del pernicioso film hollywoodiano sull'handicap, il dolore, il riscatto, L’Attimo Fuggente, i Risvegli. Apre sull’amato musical (una festa in maschera) e chiude con la retorica (anche messianica) dei buoni propositi. Commovente, per carità: i codici linguistici del mezzo l'autore li conosce bene. Ma epidermico e, visto il caso (la tematica “pelle contro cuore”), è più che una critica. La forma della commedia (e c'è poco da ridere) tradisce il bisogno di un alibi per non approfondire, per giustificare la banalità, evitare gli elementi di disturbo (la madre iperprotettiva, ad esempio), gonfiare un cinema alla Shirley Temple che oppone i soprusi al buonismo redentore: tutti infine vogliono Jack, sempre più candido e intoccabile, mentre il maestro sciorina allegorie da manuale buddista. La sceneggiatura è terribile ma Coppola non ha mai sofferto di sudditanze psicologiche e sa lavorarla: se la pellicola è quella che è, testimonia la confusione di un artista che, dalle megalomanie di inizio carriera, passando per la sindrome da Elephant Man come Jack (il mostro, il diverso allontanato da tutti), qui sembra alla ricerca del riscatto nel compromesso.
