
TRAMA
Primi anni cinquanta: il regista David Merrill torna negli Stati Uniti e scopre che la Commissione a caccia di comunisti del senatore McCarthy lo estrometterò da Hollywood, a meno che non denunci alcuni colleghi.
RECENSIONI
Come il precedente Il Prestanome di Martin Ritt (senza dimenticare il buon film Tv di Lamont Johnson, Processo alla Paura, del 1975), è un j’accuse al clima politico sorto nel maccartismo e alla (sua) fobia anti-comunista, che colpì duramente (anche) molti autori di cinema. La messa in scena dell’esordiente Irwin Winkler (glorioso produttore di alcuni fra i migliori film anni settanta) è abbastanza accademica, le scenografie, i colori e la fotografia seguono lo stesso trend anonimo ma l’anima della pellicola sono i personaggi (e relativi interpreti) e gli impeccabili dialoghi: in una parola, la sceneggiatura, che si gioca su pochi ambienti ed esigua azione ed è firmata dallo stesso Winkler, basandosi su di uno script originale del regista Abraham Polonsky, finito anch’egli sulle liste nere e poco felice che Winkler avesse trasformato il suo protagonista comunista in un liberale. La parte del leone la fa, al solito, Robert De Niro: la scena del processo dove s’infuria è un portento. Martin Scorsese (spesso prodotto da Winkler) interpreta il regista esiliato Joseph Losey (che qui si fa chiamare Joe Lesser).
