
TRAMA
L’ultimo Cenone: la beata felicità di due barboni contro l’ipocrisia natalizia dei benestanti; La Lucidatrice: la moglie di un impiegato, maniaca della pulizia, s’innamora di una lucidatrice; La Cantante: Jeanne Moreau canta ‘Quand l’amour meurt’; Re D’Yvetot: un anziano e corpulento marito tollera le scappatelle della bella moglie con il suo migliore amico.
RECENSIONI
Un progetto televisivo ideato insieme al produttore Giulio Macchi, in cui Jean Renoir in persona, al timone del suo ultimo film, presenta, come in Il Testamento del Mostro, tre episodi in stile “atto teatrale”, ricchi d’ironia e musicalità (‘La Lucidatrice’ è in forma di opera), più un assolo di Jeanne Moreau, che canta “Quando l’amore muore” per rievocare la Belle Époque. Il primo aneddoto, L’ultimo Cenone, è dedicato alle favole di Hans-Christien Andersen: Renoir vi addita l’ipocrisia dei benestanti, che dispensano bontà solo durante le Feste. Lo fa sottolineando l’inarrivabile felicità che alberga nell’immaginazione e nell’amore di due senzatetto. Una beata povertà, la loro, dove con uno sguardo che abbraccia ancora il sentimento della tenerezza, Renoir fa di semplicità virtù. Si cambia tono nel secondo episodio La Lucidatrice, feroce e grottesco ma anche un poco banale, dove Renoir, attraverso il paradosso, critica le brutture tecnologiche del Moderno consumista e alienante. Gli esseri umani, in un mondo sovrappopolato, sbucano fuori (come creati) da un sottopassaggio del metrò e lavorano tutti in un ufficio. Vite insulse, che ruotano intorno a futili oggetti e promozioni, con inquinamento acustico. Nell’ultimo atto, Il Re D’Yvetot, tenero e ilare, Renoir invita alla tolleranza (valore perduto nel tempo) per un ménage à trois, compiendo una piccola “rivoluzione” contro le odiose convenzioni. A quale scopo perdere due persone care? Solo per salvare l’onore e la faccia di fronte alla comunità? Meglio buttarla in ridere, i rimorsi imbruttiscono, l’ozio è soave.
