Azione, Poliziesco, Recensione

IL RISOLUTORE

Titolo OriginaleA Man Apart
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2003
Durata110'
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Sean è un agente della DEA che combatte il crimine della droga tra la California e il Messico. Quando arresta un potente boss, gli viene uccisa la moglie. Da quel momento sarà vendetta tremenda vendetta.

RECENSIONI

Dopo aver rifiutato il sequel di "Fast & Furios", il neo-divo Vin Diesel è star assoluta del lungometraggio di F. Gary Gray (lo stesso di "The Italian Job", ora sugli schermi, e del precedente "Il negoziatore"). Una banale storia di droga che si trascina senza guizzi tra i luoghi comuni del già visto. L'orribile titolo italiano evoca pratiche contabili, ma si riferisce al ruolo rivestito dal protagonista: un poliziotto che, dopo avercela messa tutta per stare dalla parte della legge, quando gli uccidono la moglie decide di farsi giustizia da solo, in barba a qualsiasi regola di convivenza civile. La vendetta diventa il suo scopo di vita, come se si trattasse dell'episodio 548 de "Il giustiziere della notte". Unica variante, il legame di amicizia con un poliziotto, che continua ad essergli vicino anche quando viene radiato dall'ordine per i suoi modi psicotici. Non più un eroe solitario, quindi, come vorrebbe il mito, ma pur sempre un eroe, che in base alla solita logica fascistoide sublima nella vendetta la rabbia e il dolore e riesce pure a far trionfare il "bene". Ma Charles Bronson non è l'unico modello del film. La particolare complicità che si crea tra il protagonista e il boss in prigione Memo Lucero, ricorda infatti, in superficie, il rapporto tra Hannibal e Clarice ne "Il silenzio degli innocenti". Ma le sfumature psicologiche non hanno certo modo di esprimersi, perché è l'azione il fine ultimo del film. All'inizio si vorrebbe pensare (senza particolari entusiasmi) a una nuova pagina sul traffico di droga lungo il confine tra Stati Uniti e Messico (bella la scena in cui si vedono tranquille signore che preparano la droga come se stessero setacciando farina), ma la sceneggiatura opta presto per le tinte forti. Le interminabili sparatorie e gli inseguimenti soffrono però di una messa in scena confusa e caotica e lo spettatore, non avendo modo di capire cosa stia effettivamente accadendo, deve limitarsi ad attenderne gli esiti. Dopo una prima parte ricattatoria (la famigliola eccessivamente felice) ma pur sempre solida, lo script si sfilaccia progressivamente, imbastendo situazioni a credibilità zero. Difficile, ad esempio, pensare che un poliziotto che ha arrestato un super boss, e quindi famoso e temuto, riesca a fingersi uno spacciatore senza che nessuno se ne accorga. Il finale, poi, arriva senza alcun nesso logico e pare appiccicato in fretta, ma sembra che sul risultato abbiano influito divergenze produttive dell'ultima ora (le immancabili proiezioni test per misurare il gradimento del pubblico).
Ma ora veniamo a lui: Vin Diesel. Continuiamo a trovarcelo nel ruolo di super-macho che non deve chiedere mai, ma dietro al fisico imponente sembra tradire un animo da "cucciolone". Nonostante gli sforzi, infatti, la limitata espressività facciale comunica più spaesamento o bisogno di coccole che collera e disperazione. Da un momento all'altro, soprattutto nelle scene a più alto dosaggio di "pathos", non stupirebbe vederlo intonare una canzone di Eros Ramazzotti. Purtroppo sia lui che il film deficitano, in mancanza di originalità e mordente, di un elemento determinante: l'ironia.

Il tipico personaggio di Diesel è sempre…a(p)part(ato), ma questo film è la bufala del secolo: accompagnati dall’Io narrante del protagonista, veniamo gettati in una raffigurazione del mondo del crimine che, mentre canta le gesta degli “eroi” dalla parte della Giustizia, solletica i più bassi istinti dell’Arte e dello Spettatore fra orge, bellissime donne e lusso (ripreso come se fosse) desiderabile. Ma è niente in confronto alla banalità dell’intreccio, all’ elementarità con cui regia e sceneggiatura rendono prevedibile ogni singolo risvolto del racconto, ogni singolo personaggio, lanciando messaggi, subliminali o diretti, a un ipotetico pubblico di mentecatti. Dulcis in fundo, non c’è un’azione, una motivazione, una psicologia, un’emozione messa in scena che non sia grossolana e inverosimile, con il risultato, paradossale per un film meramente commerciale, che la noia regna sovrana. Raramente s’è visto un film di genere così, che scimmiotta mille altri in circolazione (quindi dovrebbe almeno viaggiare sul sicuro) eppure è assolutamente senza capo né coda, assurdo, inguardabile.