Drammatico, Recensione

IL PORTO DELLE NEBBIE

Titolo OriginaleLe quai des brumes
NazioneFrancia
Anno Produzione1938
Durata91’

TRAMA

Un disertore approda in una cittadina portuale. Nel bar incontra quella che crede una prostituta ma è in realtà la figlioccia di un commerciante che alcuni criminali perseguitano per sapere che fine abbia fatto il fidanzato scomparso.

RECENSIONI

La meraviglia di questo film, che rese celebre il regista a posteriori (all’epoca fu censurato dall’UFA tedesca, la versione originale da 92’ è stata recuperata solo nel 2025; la critica all’epoca fu spietata), è il microcosmo umano cui dà corpo lo sceneggiatore/poeta Jacques Prévert, a partire da un romanzo di Pierre Mac Orlan (1927). All’inizio, infatti, non è tanto l’evoluzione della vicenda a interessare ma, in un impianto quasi corale, il piacere della conoscenza dei personaggi radunati in questo bar fatiscente sulla scogliera: tutti simili, bistrattati dalla vita rappresentata da questa nebbia perenne (portentosa fotografia in esterni). Un disertore, una donna triste in fuga come lui, un pittore con il male di vivere ma apparentemente sereno, un ex-avventuriero, un ubriacone e un cane randagio che prende in simpatia il disertore e lo segue ovunque. Basta uno sguardo e fra simili ci si riconosce: al bar Panama aiutano subito il soldato. Quando arrivano i gangster, sbruffoni che il vero uomo (Gabin) spaventa con niente, quelli del bar Panama li cacciano. A Gabin poco garba anche il commerciante affabile e perbene di Michel Simon e il suo istinto è infallibile perché spesso, nell’universo di Prévert e Carnè, i più laidi hanno le sembianze delle persone pulite. Gabin è un uomo indurito dalle traversie della vita, non crede all’amore ma lo scioglierà la bellezza e la dolcezza di Michèle Morgan. Un intrecciarsi di personaggi, sentimenti, figure anche archetipiche che non sono solo i testimoni di “un” racconto ma la visione poetica/filosofica sulla vita, quella che venne chiamata realismo magico. Carnè dà al testo il côté migliore, quasi sognato/simbolico, immergendo in questo magnifico bianco e nero le immagini nella nebbia, salvo poi romperla con sprazzi allegorici di luce, per quanto di breve durata (l’autore sentiva la cupezza del mondo arrivare, dal Fronte Popolare all’occupazione nazista). Con questo film e con il successivo Alba Tragica, Carnè testimoniava la sua perdita di ogni speranza, per quanto già nella prima collaborazione con Prévert, Jenny La Regina Della Notte, giocasse con le brume, il destino e l’amore che redime.