Drammatico, Recensione

IL MIRACOLO

TRAMA

Tonio, 12 anni, investito da un’auto, prima di perdere i sensi ha una visione. Risvegliatosi dal coma, nell’ospedale, viene a contatto con un paziente in fin di vita: toccatolo, il cuore dell’uomo riprende il normale battito. Miracolo?

RECENSIONI

All'opera terza, dopo PIZZICATA e l'acclamato SANGUE VIVO, Winspeare tenta la carta di un film d'autore ma popolare, gettando lo sguardo sull'infanzia (tema che pare riscoperto di recente dai registi nostrani), sulla distanza siderale che separa le varie generazioni, l'indifferenza e la vacuità genitoriale, su un mondo acerbo che gli adulti si ostinano a ignorare o a non comprendere. La prima parte, che conferma le doti del regista, la sua attenzione per il dettaglio, un occhio particolare nella descrizione, in toni anche pittorici, di una realtà urbana peculiare (il film è ambientato a Taranto) ha una certa misura e non eccede in letterarietà (il grande peccato di tanto nostro cinema) e, senza entusiasmare, ha un incedere più che dignitoso. I disastri vengono nella seconda parte che testimonia tristemente di una certa normalizzazione "archibugiana" per un autore che, dopo il sorprendente debutto, sembrava promettere tutt'altro: la critica alla televisione, al pubblico oppurtunista che se ne vuole rendere protagonista per potersi applaudire, è molto lontana dall'essere una trovata originale, si fonda su meccanismi triti, personaggi fuori registro (il cronista della tv locale) e colpisce al cuore uno script che fino a quel momento aveva lavorato bene sui toni minori, descrivendo adeguatamente un'umanità variegata senza banalizzarla e lo stritolamento dell'anima di un bambino da parte del calcolo dei grandi. Tutto abbarbicato al soggetto, dando meno spazio all'istinto sanguigno delle sue prime opere, Winspeare fa inciampare IL MIRACOLO in un'ordinaria e purtroppo familiare atmosfera da cinemino italiano, quello vittima del neoneorealismo coatto, del tema sociale ad ogni costo, figlio della cronaca e dell'indagine da rotocalco. Qualche virata c'è, il finale ha una discreta forza, ma non basta a riscattare le cadute, a scacciare l'impressione di un film ibrido e indeciso, prova transitoria che pone Winspeare di fronte a decisioni cruciali per il suo futuro artistico.

Bambini sempre piu' saggi e adulti sempre piu' fragili in una Taranto insolita, valorizzata dalla suggestiva fotografia di Paolo Carnera. Edoardo Winspeare, tedesco di origini ma salentino di adozione, racconta, al ritmo di una pizzica contaminata da sonorita' orientali, l'incontro di due solitudini: Tonio, un bambino che dopo un incidente sente di avere acquisito il dono di guarire chi sta male e Cinzia, la problematica ragazza che lo ha investito con l'automobile. Il regista adotta uno stile asciutto, non si perde in fronzoli, evita facili leziosita' e costruisce personaggi in cui e' facile credere. Ad alcuni momenti riusciti (il rapporto tra il giovane protagonista e il suo buffo compagno di scuola, la caratterizzazione dei genitori) se ne alternano altri meno efficaci (il determinante primo incontro tra Tonio e Cinzia, che finisce per suonare un po' falso, la critica scontata alla televisione spazzatura) e dopo una prima parte compatta e coinvolgente il film sembra incartarsi, fino a un finale che non convince. Aperto a possibili sbocchi, ma forzato e poco comunicativo. Bravi gli attori (in particolare Carlo Bruni che interpreta il padre), interessante il tentativo di affrontare un misticismo laico, un po' sfilacciato il punto di arrivo. Bello lo spunto di regia di non mostrare l'incidente alla base del soggetto, ma poco credibili le premesse di un frontale su un rettilineo.

Sale il fumo dell'Ilva, offusca la mente del Mare (del) Grande senza fare i conti con il Piccolo (Tonio), che immagina l'impossibile e impara a vivere il possibile. Winspeare si cimenta con il mondo fantastico dell'infanzia e, ghirigori di troppo a parte (la sequenza delle farfalle), custodisce in mirabile armonia l'etica e l'estetica del Sogno/Realtà, esorta il miracolo che fugge la superstizione (la Processione montata dalla rabbia della ragazza) e, al contempo, insegna la realtà delle (dis)affezioni. Il figlio miracolato scorge in quello abbandonato l'anima ferita che attacca, l'invisibile splendore sotto la crosta forgiata da un fumo cancerogeno. Tonio è il candore senza la frivolezza degli adulti collerici, egocentrici, introversi, mass-mediati dalle esteriorità. Il suo miracolo è quello di una città che, divisa fra la tangibilità del dolore e la cecità della scaramanzia, sceglie la Luce della solidarietà, oltre il rito della legalità (non denuncia Cinzia) e la diffidenza dei sogni infranti (lei lo tiene lontano). Winspeare confonde segni sovrannaturali (morti che resuscitano, cancri che recedono con la sola imposizione delle mani), coincidenze fatali, autosuggestioni (Tonio ama i superpoteri degli eroi dei fumetti) e circoli virtuosi (Cinzia cura il proprio odio nei confronti della madre), per (di)mostrare che i miracoli più grandi sono quelli meno eclatanti, che nessun prodigio può arrestare la malattia del cuore umano e, parimenti, la sua fede (vedi anche la figura del simpatico e paffuto nipotino interpretato da Rosario Sambito). L'infelice Realtà vince se trova un equilibrio precario, più contingente che maturato (i genitori di Tonio e Cinzia tornano sui propri fallaci passi): quella sognata si conquista contro lo scoramento, il cinismo, l'indifferenza e la superficialità.