Drammatico, Sala

IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE

TRAMA

Teo (Adriano Giannini), è un uomo di successo in campo professionale, ma irrealizzato e frammentato sul piano dei sentimenti e degli affetti. Emma (Valeria Golino) ha combattuto a lungo per arrivare ad accettare la propria condizione di non vedente ed è una donna forte e sensibile, indipendente a dispetto di ogni difficoltà. Il loro incontro sfocerà nell’amore e tutto avrà più senso e più incertezza, più bellezza e più vulnerabilità.

RECENSIONI

Per altri occhi -  Avventure quotidiane di un manipolo di ciechi è un documentario del 2013 di Silvio Soldini scritto insieme a Giorgio Garini, vincitore nel Nastro d’Argento per il miglior documentario nel 2014. Il tema è chiaro, il modo anche: con curiosità e attenzione e con quel gusto dell’ironia innocente con cui da sempre ama raccontare piccole storie quotidiane, il regista indaga la realtà dei non vedenti, chiedendo in prestito “altri occhi”, un modo diverso di “vedere”, idea che nasce da un’esperienza autobiografica di sedute con un fisioterapista non vedente. Torna sull’argomento con Il colore nascosto delle cose, titolo che nel suo lirismo sommesso allude con delicatezza al dato sensoriale negato, ma non aiuta né la curiosità né la memoria, film che racconta di Emma, osteopata, una Valeria Golino sempre dotata di un fascino peculiare, col suo sguardo languido e socchiuso, qui dalla fragile trasparenza resa vitrea e immobile dalla cecità, e con la sua voce roca che diventa un filo inconfondibile a cui tenersi nel Dialogo nel Buio con cui la storia comincia: scorrono i titoli di testa mentre si sente parlare, i personaggi chiacchierano durante un’esperienza, aperta a tutti nella realtà, di percorso al buio che si svolge facendo affidamento sui sensi che restano, tolto quello della vista, guidati da un non vedente. Teo (Adriano Giannini, attore e doppiatore figlio d’arte) seguendo la scia di quel filo vocale, riconosce Emma, la ama, la perde, la insegue in un finale più che aperto: al buio, che riproponendo le condizioni iniziali del film getta di nuovo i personaggi nell’incertezza, ma al contempo offre loro un’altra chance.

Lo sguardo di Soldini è, come sempre, non giudicante, esplicativo senza pedanterie, semplice senza essere semplicistico, stavolta con ironia, autoironia e dramma che si intrecciano nel descrivere la condizione di disagio estremo del non vedere, anche attraverso comprimari classici ma efficaci come la giovane problematica Nadia (Laura Adriani) e l’amica esuberante (la milanese Arianna Scommegna, di formazione teatrale). La spontaneità dei momenti ironici, il dolore dei picchi tragici, la dinamica fra intimità e estraneità degli interni domestici racconta saldamente un intreccio e i sentimenti che lo muovono; tuttavia un umorismo a tratti un po’ âgé, alcune situazioni stereotipiche (amanti/bugie/equivoci) e la drammatizzazione di certi scompensi affettivi e stralci di vissuto famigliare, spingono talora sottotono la levità cara al regista e l’aria si fa mesta, l’intreccio degli accenti che in Soldini percorre la Penisola nella sua varietà geografica e culturale (dall’Abruzzo a Venezia in Pane e Tulipani, da Comacchio a Genova in Agata e La Tempesta, da Treviso a Taranto in Le Acrobate), dal caos romano ripiega stavolta nella campagna toscana, dove il dramma di Teo in fuga da se stesso assume cenni veristi e sembra di intravedere, alle spalle dell’anonimato metropolitano, un cuore antico e immobile, il ritorno alle madri, il bisogno di ricucire: troppo per essere approfondito in un unico film, somiglia a un tableau intimistico che prepara il terreno al successivo intervento di Nadia diventata espediente narrativo, i sentimenti si disperdono nella scrittura ed è l’incertezza finale a restituire verve a un meccanismo appesantito dalla sua stessa funzionalità.